giovedì 31 ottobre 2013

Il Crepuscolo del bancario

Notizie di libri e cultura del Corriere della Sera
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Sarà stato pure uno spot, ma Luciana Littizzetto che con lo sguardo un po’ malandrino dice «Ti amo, bancario» è stato l’ultimo messaggio appassionato destinato a chi lavora allo sportello. Poi i crac Cirio e Parmalat, i derivati, i subprime americani, i mutui che non ci sono più, le richieste di rientro, il credit crunch, insomma gli scandali e poi la crisi che ha cambiato il mondo hanno fatto purtroppo un miracolo, al contrario: hanno trasformato i bancari in banchieri, almeno nella percezione di correntisti e risparmiatori, candidati acquirenti di casa o di una nuova cucina, e la filiale è diventata la casa del diavolo, da detestare e dileggiare, sfaticata e ostile. Infine è arrivata la lettera: nei giorni scorsi l’Abi, la Confindustria del credito, ha disdettato il contratto di categoria: «Questi livelli di occupazione e retribuzione non sono più sostenibili. Il modello va rivisto».


Tutto è cambiato, sembra, in poco più di dieci anni. Ai tempi del «ti amooo», e si parla del 2002, la pubblicità ancora rappresenta gli scampoli del mito, ciò che resta, e non è poco, di quel che è stato per decenni il bancario nell'immaginario domestico: posto fisso, retribuito con quattordici o quindici mensilità, bonus come le borse di studio ai figli dei dipendenti e il passaggio «ereditario» della scrivania: quando il papà va in pensione il suo ragazzo (più raramente sua figlia) ha il diritto, o per meglio dire la garanzia, di essere assunto. Un turnover che richiama consuetudini artigianali e che magari talvolta ha richiesto l’assolvimento di un obbligo accessorio «adesivo», cioè l’iscrizione al sindacato. Cantavano i Gufi nel 1966: «Io vado in banca, stipendio fisso, così mi piazzo e non se ne parla più». E in effetti fra il 1970 e il 1980 gli occupati in aziende di credito passano da 151 mila a quasi 290 mila.

Del resto, quarant'anni fa per il neo-ragioniere, trenta e vent'anni fa per il neo-laureato alla Bocconi, era un’abitudine più che un’aspirazione ricevere subito a casa varie offerte di lavoro. E quelle che avevano una banca per mittente ottenevano nella maggior parte dei casi il favore dei genitori. Anche perché, soprattutto alla fine degli anni Ottanta, l’auto-marketing aveva portato alcuni istituti di credito a usare toni accattivanti di sfida («Stiamo cercando coloro che saranno dirigenti fra 16-17 anni») o perentori (del tipo: «Si presenti alle 9 del tal giorno per un colloquio di lavoro») ai quali era impossibile (o quasi) resistere.
Fatto sta che, fino a quando ha funzionato la logica collettiva dell’ascensore sociale, l’impiegato di banca ha rappresentato il miglior traguardo possibile per livello retributivo, tranquillità di posizione e garanzia di (pur lenta) carriera, grazie agli automatismi inseriti nei contratti del settore dal 1973. È dunque considerato più brillante, colto e pagato meglio di un travet della pubblica amministrazione o di uno dipendente postale. Immagine confermata dalle analisi sociologiche che, fra gli anni Ottanta e Novanta, hanno riguardato la figura professionale e l’identità sociale del bancario (come quelle realizzate da Giovanni Gasparini a Milano, Giancarlo Tanucci a Roma e Roberto di Monaco a Torino), che viene collocata «a un livello medio-superiore di valorizzazione sociale: è una professione caratterizzata da evidenti segni di prestigio, status sociali riconosciuti o ritenuti tali».
L’immagine che brilla nelle ambizioni demoscopiche è però rimasta fuori dalla porta sia nel cinema sia nella letteratura. Non è l’aspirante direttore «sognato» dalle mamme il protagonista di film come Rag. Arturo De Fanti, impiegato bancario diretto da Luciano Salce nel 1980 e interpretato da Paolo Villaggio e Catherine Spaak. O come Impiegati che Pupi Avati gira nell’85: commedia all’italiana il primo, simbolica rappresentazione dello yuppismo il secondo. E nei romanzi prevale l’oscurità di una professione soffocata dalla routine delle mansioni e da piramidi gerarchiche spesso grottesche costruite su automatismi e raccomandazioni piuttosto che su meriti. Oscurità vissuta in alcuni casi in prima persona. Italo Svevo, costretto dal fallimento dell’azienda paterna a vent’anni di lavoro «forzato» nella filiale triestina della viennese Banca Union, si descrive in Una vita nel protagonista Alfonso Nitti, sopraffatto da un ambiente, quello bancario appunto, che gli è estraneo. Il suicidio è la «morte in banca», chiave di lettura che diventerà titolo del primo romanzo di Giuseppe Pontiggia, entrato nel ’51 al Credito italiano dopo che la morte del padre lo ha indirizzato verso un destino di lavoro a lui estraneo: «In banca sono sempre stato un “turista”». E dieci anni dopo ha lasciato il «posto fisso» per insegnare alle scuole serali, incoraggiato a continuare a scrivere anche da Sergio Solmi, il poeta capo dell’ufficio legale della Comit che, quando il libro di Pontiggia è stato pubblicato nel ’59 lo ha portato a Raffaele Mattioli. «Ha visto cosa scrive?», gli ha domandato. «Ma lui lavora per la concorrenza», è stata la risposta del banchiere-umanista. Così come ha lavorato per la «concorrente» Cariplo (poi, come Comit, aggregata in Intesa) Giampaolo Rugarli: entra nella cassa di risparmio milanese perché glielo impone il padre, dirigente di Bankitalia. Lui voleva iscriversi a lettere. Porterà la sua «morte in banca» in diversi romanzi e racconti, uno dei quali Digitazione, pubblicato nel 1988 da «Economia e management», prefigura l’invasione di computer e tecnologie allo sportello. Che sarà una delle ragioni determinanti del declino economico, sociologico, professionale e «aspirazionale» del bancario. Mitico, anzi gradualmente ex.

Sì, perché il suo crepuscolo ha i tempi lunghi delle metamorfosi globali. E i primi a raccontare la trama futura sono stati proprio gli scrittori. Quando, nel novembre 1993, l’allora direttore generale della Banca d’Italia, Lamberto Dini, precede l’apertura della vertenza per il rinnovo del contratto di circa 340 mila bancari con «l’invito» a una svolta — attenuando automatismi di carriera ed economici perché gli oneri sono diventati insostenibili e solo così si possono difendere i tanti posti a rischio — è proprio Rugarli a scrivere sul «Corriere della Sera»: «Sia resa lode a Dio, finalmente. A mia memoria mai si conobbero prestatori d’opera più infelici e, chi sa perché, più invidiati. Quasi tutti i bancari considerano il lavoro un ripiego dal quale sognano di evadere. Non scappano perché si arrendono al ricatto della sicurezza: mi annoio, mi deprimo, mi rimbecillisco ma, fuori di qui, dove vado?». E Pontiggia nel ’97, quando si parla di tagli e ristrutturazioni, avverte il pericolo «che si “licenzino” competenze preziose», ma sottolinea che «il privilegio del posto sicuro favorisce indolenza e parassitismo ed è incompatibile con i tempi».
E siamo solo agli inizi. Il primo bancomat approda in Italia nel 1976 a Ferrara. Nel 2012 le operazioni di prelievo automatico, che hanno quindi «saltato» lo sportello, sono state in Italia 773 milioni e le carte bancomat sono 33,2 milioni. È la tecnologia della disintermediazione che avanza e di cui le «macchinette atm» sono forse la forma più primitiva. Perché la vera rivoluzione è nel web, nell'internet banking. Il nostro Paese è ancora indietro, ma oltre 26 milioni di persone utilizzano internet, e l’80% di loro si collega con la banca. Per fare bonifici o compravendere titoli. Non ha sorpreso nessuno dunque che l'Abi ai sindacati nel presentare i «fattori di crisi» abbia sottolineato che in Italia ci siano ancora 55 sportelli bancari ogni centomila abitanti contro i 41 medi in Europa e i 20 in Gran Bretagna. Le filiali si svuotano, sono troppe, sovradimensionate. Non per nulla le società di consulenza come McKinsey parlano per il futuro di banche light, ascoltate con attenzione da big come Unicredit o Intesa Sanpaolo. E chi la banca leggera l’ha costruita negli ultimi anni, come Mediobanca con Chebanca! per il reclutamento iniziale non ha puntato su bancari o laureati in economia: in prevalenza ha pescato nel commercio, dove il cliente va «catturato» e resta fedele solo se è soddisfatto.
Tra i fattori di crisi che portano a stimare oggi in circa 20 mila i posti a rischio non c’è però solo il web. Per la «nuova siderurgia», come nel ’95 ha chiamato il settore del credito il banchiere Gianni Zandano, gli ultimi 15 anni sono stati contrassegnati anche da aggregazioni che hanno prodotto esuberi, e dalla grande crisi del 2007 che ha scosso dalle fondamenta modelli di business e parametri di redditività del sistema. Il bancario con extramensilità e benefit, è diventato «insostenibile». «Figura indebolita», dice il presidente del Censis Giuseppe De Rita, «anche dall'inserimento di venditori di fondi e consulenti, che lo hanno sostituito nella vita finanziaria delle famiglie. La crisi di identità gli impedisce di rinnovarsi, di riprendersi responsabilità e posizione». Sparito dunque da ambizioni, cinema, letteratura e perfino dalla sociologia, che preferisce l’impiegato statale per le proprie indagini, il bancario del posto fisso da mito arretra a miraggio. Più che diventare «liquido», per dirla con Zygmunt Bauman, il suo mondo antico costruito su certezze, garanzie e routine appare destinato a evaporare e disperdersi. In rete.

Sergio Bocconi

© RIPRODUZIONE RISERVATA

domenica 27 ottobre 2013

Lou Reed - Quindici canzoni di uno che non ha mai sbagliato quasi niente - via Il Post

Quindici canzoni di uno che non ha mai sbagliato quasi niente...ciao Lou...


Satellite of love (ciao Lou 3)


Satellite’s gone up to the skies
Things like that drive me out of my mind
I watched it for a little while
I like to watch things on TV

Satellite of love
satellite of love
Satellite of love
satellite of

Satellite’s gone way up to Mars
Soon it will be filled with parking cars
I watched it for a little while
I love to watch things on TV

Satellite of love
satellite of love
Satellite of love
satellite of

I’ve been told that you’ve been bold
with Harry, Mark and John
Monday and Tuesday Wednesday through Thursday
with Harry, Mark and John

Satellite’s gone up to the skies
Things like that drive me out of my mind
I watched it for a little while
I love to watch things on TV

Satellite of love
satellite of love
Satellite of love
satellite of







Satellite dell'amore


Il satellite è salito su per i cieli
cose come questa mi fanno impazzire
L’ho guardato per un po’
mi piace guardare le cose in TV

Satellite dell’amore
satellite dell’amore
satellite dell’amore
satellite del

Il satellite è andato verso Marte
presto sarà pieno di parcheggi per le macchine
L’ho guardato per un po’
adoro guardare le cose in TV

Satellite dell’amore
satellite dell’amore
satellite dell’amore
satellite del

Mi hanno detto che ti sei presa delle libertà
con Harry, Mark e John
lunedì e martedì mercoledì fino a giovedì
con Harry, Mark e John

Il satellite è salito su per i cieli
cose come questa mi fanno impazzire
L’ho guardato per un po’
adoro guardare le cose in TV

Satellite dell’amore
satellite dell’amore
satellite dell’amore
satellite del


Perfect day (ciao Lou 2)


Just a perfect day
drink Sangria in the park
And then later
when it gets dark, we go home

Just a perfect day
feed animals in the zoo
Then later
a movie, too, and then home

Oh, it's such a perfect day
I'm glad I spend it with you
Oh, such a perfect day
You just keep me hanging on
You just keep me hanging on

Just a perfect day
problems all left alone
Weekenders on our own
it's such fun

Just a perfect day
you made me forget myself
I thought I was
someone else, someone good

Oh, it's such a perfect day
I'm glad I spent it with you
Oh, such a perfect day
You just keep me hanging on
You just keep me hanging on

You're going to reap just what you sow
You're going to reap just what you sow
You're going to reap just what you sow
You're going to reap just what you sow











Giorno Perfetto


Semplicemente un giorno perfetto
Beviamo sangria nel parco
poi più tardi, quando viene sera, andiamo a casa

Semplicemente un giorno perfetto
Diamo da mangiare agli animali nel parco
poi piu tardi andremo al cinema e poi a casa

Rit.:
Oh, è un tale giorno perfetto
sono felice di passarlo con te
Oh, un tale giorno perfetto
mi dai la forza di resistere

Semplicemente un giorno perfetto
tutti i problemi ci lasciano soli
siamo dei week-endieri
è un tale divertimento

Semplicemente un giorno perfetto
mi fai scordare me stesso
pensavo di essere un altro
qualcuno di buono

Rit.:
Oh, è un tale giorno perfetto
sono felice di passarlo con te
Oh, un tale giorno perfetto
mi dai la forza di resistere

Tu stai per raccogliere quello che hai seminato
Tu stai per raccogliere quello che hai seminato
Tu stai per raccogliere quello che hai seminato
Tu stai per raccogliere quello che hai seminato

Lou Reed

Walk On The Wild Side (Ciao Lou)


Holly came from miami f.l.a.
Hitch-hiked her way across the u.s.a.

Plucked her eyebrows on the way
Shaved her leg and then he was a she
She says, hey babe, take a walk on the wild side
Said, hey honey, take a walk on the wild side

Candy came from out on the island
In the backroom she was everybody's darling

But she never lost her head
Even when she was given head
She says, hey babe, take a walk on the wild side
Said, hey babe, take a walk on the wild side
And the coloured girls go

Doo, doo, doo, doo, doo, doo, doo, doo

Little joe never once gave it away
Everybody had to pay and pay

A hustle here and a hustle there
New york city is the place where they said
Hey babe, take a walk on the wild side
I said hey joe, take a walk on the wild side

Sugar plum fairy came and hit the streets
Lookin' for soul food and a place to eat

Went to the apollo
You should have seen him go go go
They said, hey sugar, take a walk on the wild side
I said, hey babe, take a walk on the wild side
All right, huh

Jackie is just speeding away
Thought she was james dean for a day

Then I guess she had to crash
Valium would have helped that dash
She said, hey babe, take a walk on the wild side
I said, hey honey, take a walk on the wild side
And the coloured girls say

Doo, doo, doo, doo, doo, doo, doo, doo



Lou Reed
Transformer (1972)





Un Giro Nella Zona Selvaggia


Holly viene da Miami (Florida)
in autostop attraverso gli USA
sfoltendo le sue sopracciglia per strada
depilandosi le gambe lui diventa lei

Lei dice, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Lei disse, hei dolcezza
Fatti un giro nella zona selvaggia

Candy viene dall'isola
Nella camera sul retro lei era la ragazza di tutti
ma non ha mai perso la testa
neanche quando faceva pompini
Lei dice, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Disse, hei bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
e le ragazze di colore fanno do doo do doo..

Piccolo Joe non l'ha mai dato via a gratis
tutti devono pagare e pagare
Una botta qui e una botta lì
NY city? il luogo dove dicono, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Ho detto, Hey Joe
Fatti un giro nella zona selvaggia

Sugar Plum Fairy è venuto e batte le strade
cercando cibo per l'anima e un posto dove mangiare
è andato da Apollo
avresti dovuto vederlo come ci dava dentro
Loro dicono, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Ho detto, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Molto bene, huh

Jackie ? completamente fatta
per un giorno pensava di essere James Dean
allora ho capito che presto si sarebbe schiantata
il Valium l'avrebbe aiutata
Diceva, Hey bambino
Fatti un giro nella zona selvaggia
Dicevo, Hey dolcezza
Fatti un giro nella zona selvaggia
e le ragazze di colore fanno do doo do doo..

Lou Reed



Note :
"Stavano facendo un musical su "A walk on the Wild Side" di Nelson Algren. Quando hanno rinunciato al progetto ho preso la mia canzone e ho cambiato i protagonisti del libro in gente che conoscevo delle industrie Warhol. Non amo che le cose vengano sprecate"
Lou Reed

Fonte

lunedì 21 ottobre 2013

Immigrazione - Integrazione


Tempo fa ho letto queste righe mentre navigavo in rete ed era spacciata come una dichiarazione, una specie di messaggio alla nazione, fatta dall'ex ministro australiano Peter Costello.
Credo sia un bufala colossale, ma mi sento di sottoscrivere parola per parola.

La ripropongo come se si parlasse dell'Italia. 

Non sono contrario all´immigrazione e non ho niente contro coloro che cercano una vita migliore venendo in Italia. 
Tuttavia ci sono questioni che coloro che recentemente sono arrivati nel nostro paese e, a quanto sembra, anche qualcuno dei nostri concittadini nati qui, devono capire.
L´idea che l´Italia debba essere una comunità multiculturale serve soltanto a dissolvere la nostra sovranità ed il sentimento di identità nazionale.
Come Italiani, abbiamo la nostra cultura, la nostra società, la nostra lingua ed il nostro modo di vivere.
Questa cultura è nata e cresciuta durante più di duemila anni di lotte, processi e vittorie da parte dei milioni di uomini e donne che hanno cercato la libertà di questo paese. 
Noi parliamo l´italiano, non il libanese, l'arabo, il cinese, il giapponese, il russo o qualsiasi altra lingua.
Perciò, se desiderate far parte della nostra società, imparate la lingua!
La maggioranza degli italiani crede in Dio.
Non si tratta soltanto di un affare privato di qualche cristiano fondamentalista di destra, ma vi è un dato di fatto certo ed incontrovertibile: uomini e donne cristiani hanno fondato questa nazione su principi cristiani, ed è chiaramente documentato nella nostra storia e dovrebbe essere scritto sui muri delle nostre scuole.
Se il nostro Dio vi offende, allora vi consiglio di prendere in considerazione la decisione di scegliere un'altra parte del mondo per mettere su casa, perché Dio è parte della nostra cultura.
Accetteremo le vostre opinioni religiose, e non vi faremo domande, però daremo per scontato che anche voi accettiate le nostre e cercherete di vivere in pace ed armonia con noi.
Se la Croce vi offende, o vi molesta, o non vi piace, allora dovrete pensare seriamente di andarvene da qualche altra parte.
Siamo orgogliosi della nostra cultura e non pensiamo minimamente di cambiarla, ed i problemi del vostro paese di origine non devono essere trasferiti sul nostro.
Cercate di capire che potete praticare la vostra cultura, ma non dovete assolutamente obbligare gli altri a farlo.
Questo è il nostro paese, la nostra terra, il nostro modo di vivere vi offriamo la possibilità di viverci al meglio.
Ma se voi cominciate a lamentarvi, a piagnucolare, e non accettate la nostra bandiera, il nostro giuramento, i nostri impegni, le nostre credenze cristiane, o il nostro modo di vivere, vi dico, con la massima franchezza, che potete far uso di questa nostra grande libertà di cui godiamo in Italia: il diritto di andarvene.
Se non siete felici qui, allora andatevene.
Nessuno vi ha obbligato a venire nel nostro paese.
Voi avete chiesto di vivere qui: ed allora accettate il paese che avete scelto.
Se non lo fate, andatevene!
Vi abbiamo accolto aprendo le porte del nostro paese; se non volete essere cittadini come tutti in questo paese, allora tornate al paese da cui siete partiti!
Questo è il dovere di ogni nazione.
Questo è il dovere di ogni immigrante.

domenica 20 ottobre 2013

Socrate - I tre setacci


Un giorno un uomo andò a trovare Socrate e gli disse:
"Ascolta, devo raccontarti quel che ha fatto un tuo amico"

"Ti interrompo subito" rispose Socrate: "Hai filtrato quello che mi devi dire attraverso tre setacci?"

Visto che l'uomo lo guardava perplesso aggiunse:
"Prima di parlare bisogna sempre passare quello che si vuole dire attraverso tre setacci.
Il primo è quello della verità: hai verificato se è vero?"

"No, l'ho sentito dire e…

"Bene, suppongo che tu l'abbia fatto passare almeno attraverso il secondo setaccio, quello della bontà: ciò che vuoi raccontare è buono?"

L'uomo esitò poi rispose: "No, purtroppo non è una cosa bella, anzi…"

"Mmmm…" Disse Socrate "Vediamo comunque il terzo setaccio: è utile che tu mi racconti questa cosa?"

"Utile? Non esattamente…"

"Allora non parliamone più. Se quello che hai da dirmi non è né vero, né buono, né utile, preferisco non saperlo e ti consiglio di dimenticarlo anche tu…"

venerdì 18 ottobre 2013

London School of Economics: dell’Italia non rimarrà nulla, in 10 anni si dissolverà

http://www.imolaoggi.it/2013/10/16/london-school-of-economics-dellitalia-non-rimarra-nulla-in-10-anni-si-dissolvera/

mercoledì 16 ottobre 2013

Non opprimere i figli con l'idea della scuola (di Natalia Ginzburg)

http://www.interruzioni.com/ginzburgscuola.htm

Mi’ padre me diceva


Mi’ padre me diceva: fa’ attenzione

a chi chiacchiera troppo; a chi promette;

a chi, dop’èsse entrato, fa: “permette?”;

a chi aribbarta spesso l’opignone.


E a quello co la testa da cojone,

che nu’ la cambia mai; a chi scommette;

a chi le mano nu’ le strigne strette;

a quello che pìa ar volo ‘gni occasione …


… pe dì de sì e offrisse come amico;

a chi te dice sempre: “so’ d’accordo”;

a chi s’atteggia com’er più ber fico.


A chi parla e se move sottotraccia;

ma soprattutto a quello, er più balordo,

che, quanno parla, nun te guarda in faccia.


Aldo Fabrizi

mercoledì 9 ottobre 2013

In vacanza con 6.000 lire al giorno

CORRIERE DELLA SERA  26 giugno 1977 


COSA SI FA CONTRO IL CARO PREZZI NELLE PENSIONI FAMILIARI DELLA RIVIERA ROMAGNOLA
  
DAL NOSTRO INVIATO SPECIALE
RIMINI - Quando la vacanza costa 6 mila lire al giorno, tutto compreso: cioè una camera con doccia, il burro e la marmellata con il caffelatte del mattino, carne o pesce a pranzo e la cena mai avara di calorie. Il miracolo romagnolo del mare a buon mercato. Cominciò più di venti anni fa, l'invenzione di quello che oggi chiamiamo « turismo sociale »: prezzi bassi perché fare le ferie non sia un lusso. Protagonista una razza unica, di gente che durante la « stagione » si mise a lavorare 20 ore su 24 e in inverno a firmare cambiali per tirare su altre camere.

Brodetto di pesce

A chiamarli « albergatori » non si entusiasmano, questa parola ha il sapore di una dimensione imprenditoriale che non hanno mai né raggiunto né amato: sono i proprietari delle cento, mille « pensioni familiari» della spiaggia romagnola.
Quelli che conoscono tutti i clienti per nome, si ricordano di mandare un bigliettino quando il figlio dei Rossi fa la cresima. Non passa l'estate senza che essi preparino almeno una volta quel brodetto di pesce che piace tanto ai signori di Brescia.
Questo è un rapido viaggio dentro un miracolo che si ripete. Un'incursione nella vita-gestione di una « pensione familiare » che nonostante l'inflazione, il caro bistecca, il caro frutta, il caro tutto riesce ad offrire un giorno di vacanza al prezzo di due biglietti per un film di prima visione. Una ricerca mossa anche da scampoli di curiosità e invidia per i segreti e le bravure che rendono possibile, nell'alberghetto del mare, quello che è impossibile, in fatto di economie, sulle nostre tavole.
Al centro del viaggio una « pensione » che si chiama « Villa Gori », a Rivabella di Rimini, lontano dal luccichio di Marina centro e del lungomare dove sorgono gli hotel di prima categoria con piscina. Una scelta casuale ma emblematica. Non l'unica con queste caratteristiche, anzi una delle tante. Cambiano le insegne e i nomi dei protagonisti, la geografia umana però resta identica. E comune è il nesso di una fedeltà al lavoro e all'iniziativa, che colpisce nella semplicità. « Se mi fermo sto peggio »; « Salute e lavoro, cosa altro si può chiedere? ».
Il filo conduttore è l'attivismo, in estate ma anche nella stagione morta. In un recente libro (« Una terra targata Romagna », scritto da Giuliano Zanotti e Aureliano Bassani) c'è un bozzetto che coglie questa realtà. La scena avviene davanti ad una « pensioncina », ai primi di marzo.  «Suonai, venne ad aprirmi un cane con un bambino. "Non c'è nessuno - disse il piccolo - babbo è in ufficio e mamma a scuola perché fa la bidella, mio fratello Sanzio lavora alla Segissa". E la nonna?, chiesi io. "Nonna è al nait che tiene a bada i paltò". E tu stai giocando?. Azzardai nella speranza che almeno uno in famiglia stessa riposando. "No - disse il bimbo - lavo le bottiglie per l'estate"».
Ed ecco la vita di « Villa Gori », pensione familiare, vicino al mare, cucina casalinga, raccontata attraverso i suoi protagonisti.

Diploma di maestra

« Aspetti un momento che devo finire di dare la cera », dice la signora continuando a strofinare per terra. Ha il diploma di maestra elementare, due figli (il primo di 9 anni e l'altro di 6), un marito che lavora in banca e nelle cose della pensione non centra perché lui ha il suo lavoro e qui deve lasciare fare. Si chiama Elide Arlotti Gori. Nove anni fa si è messa in questa attività. Si alza alle 5, alle 6 è al mercato, il suo appartamento è a Rimini centro, in una bella casa nuova, vicino alla fiera. Ma d'estate sta sempre qui. « Dormiamo in quattro in una stanza, così ne abbiamo una in più da affittare ».
Fa gli acquisti, bada all'amministrazione, serve in sala da pranzo, da una mano per pulire le camere. « Mi stanco più in inverno quando sono casalinga ». In giugno ha avuto quasi sempre il tutto esaurito, mamme e nonne con i bambini, fino a 8 anni sconto del 20 per cento. Cerca di accontentare in tutti i modi gli ospiti. « Ho imparato anche a fare le iniezioni; se arrivano in treno ed hanno molte valige non mi tiro indietro, sono capacissima di andare a prenderli con la mia auto ». Mario e Gilberto, i due figli vanno tutti i giorni al mare: « Li affido a qualche altra mamma, in cambio io offro l'ombrellone ».

OGNI MATTINA BATTAGLIA AL MERCATO


Quando la signora Elide cominciò a condurre la sua piccola azienda, nel 1969, un giorno di pensione costava 1500-1800 lire. Era più facile « starci dentro » allora che oggi. La battaglia contro i prezzi comincia tutte le mattine al mercato. « A me qualcosa levano sempre, perché so contrattare ». Ecco i costi dell'ultima spesa: prugne a 400 lire il chilo, pesche a 500, patate 200, pomodori 450, albicocche 500.

La carne proibita

La voce che incide di più nella gestione è quella della carne: « La pago 4000 lire il chilo più IVA comperando mezza bestia alla volta. Il macellaio si impegna a conservarla. Però mi do da fare. Quando si seppe che aumentava l'IVA, alle 5 della mattina avevo già comperato la carne per tutta la stagione ... ». A « Villa Gori » due volte la settimana c'è il pesce: « Io non sono ammessa al mercato all'ingrosso ma ho un negoziante amico che ci va per me. Le seppie e le lumachine invece me le porta Sergio, il bagnino. Il formaggio grana lo compro a 6500 lire, ma quando facciamo i cannelloni lo mischiamo al pecorino nostrano che ha più sapore. Al mercato il pollo costa 1700 lire. Attraverso l'organizzazione di promozione alberghiera riesco a prenderlo a 150 lire di meno ».
I pasti sono serviti alle 12.30 e alle 19.30: dopo un'ora la sala da pranzo è già sgombra. E' una saletta piccola, con una ventina di tavoli, molto pulita. In un angolo il bar. Molti amari, qualche brandy, pochi whisky. Accanto alle bottiglie una confezione di citrosodina, per digerire. Dall'altra parte il frigorifero dei gelati e un mobiletto con giornali, libri e giocattoli. Uno è il « Gioco di Sandokan »: deve essere stato di Gilberto, adesso è di chi lo vuole. Le consumazioni extra vengono segnate giorno per giorno. Su ogni tavolo c'è un cartellino per registrare l'acquisto. Qualche esempio. Una bottiglia di acqua minerale 400 lire (costo per il gestore 80), il vino da pasto 700 (costo 300); la birra da tre quarti 800.
« Quello che guadagniamo lo mettiamo in lavori di miglioramento», spiega Elide Gori. Quest'anno hanno comperato sedie e tavoli nuovi. « Le spese sono tante. In una stagione paghiamo 240 mila lire solo di tassa sul rusco. Noi cerchiamo di dare da mangiare molto bene. Un anno è venuto qui anche un lord inglese, si è fermato per caso e poi ha fatto tutta la vacanza. Però gli inglesi qualche volta danno pensieri, lasciano le camere in grande disordine. Allora io finché non capiscono scrivo dei bigliettini: "Tenere in ordine il bagno" ».


La cuoca, suocera della signora Elide, è la titolare della licenza. Cominciò lei assieme al marito, nel '57: « Qui c'era solo del canneto e questa casa di pescatori che costava 2 milioni e 600 mila lire. Mario, facciamo un debito e la compriamo. Mario era mio marito. Si convinse. I primi tempi tenevamo solo qualche camera e ci sono state anche delle belle soddisfazioni, sapesse. Sono venuti a mangiare Pajetta e Longo. Ma anche i preti. Tutti contenti ».
La cuoca si chiama Ines, ha 71 anni. Comincia a lavorare alle 6. Finisce tra le 21 e le 22. « Quando lavoro sto bene, se mi fermo arrivano i guai. In inverno mi si gonfiano le gambe. Il caldo della cucina invece mi fa bene ». Ines Gori sta cucinando gli involtini, occorrono cento grammi di carne, per le bistecche 120 grammi. Non pensa a smettere, a riposarsi, a uno svago. « Cosa dovre fare, un viaggio? Per viaggare bisognerebbe esserci abituati. Io invece ho cominciato a laborare a 13 anni e ho continuato. Ricca non sono ma ho sempre pagato i debiti. La mia soddisfazione è andare in pescheria. "Ines, Ines", mi chiamano tutti e vogliono vendere a me perché sanno che sono "galantuoma". Finché posso lavoro. Mia madre è stata in cucina fino a 87 anni, poi è morta perché è caduta dalla bicicletta ».
Per tenere 6 mila lire in giugno e poco di più in alta stagione (una « scala mobile » che tocca la punta massima per ferragosto) il segreto del risparmio non è solo in cucina. Il costo maggiore infatti è quello del personale. Ecco perché a « Villa Gori », come in tutte le altre «pensioni» è mobilitata l'intera famiglia. Un piccolo incarico l'ha anche Francisco Gori, ragioniere di banca, che si autoqualifica il « portiere di notte ». E' lui che chiude la porta un po' prima di mezzanotte, quando i clienti sono già tutti a letto. In cucina lavora anche la sorella di Ines, di qualche anno più giovane che tutti chiamano «Pallina».

« Meglio le donne »

Poi ci sono le cameriere. Loredana Antonioli 21 anni, addetta soprattutto alle stanze, e Paolo Antonioli, 20, che non è parente dell'altra, incaricata del servizio in sala. Guadagnano 400 mila lire al mese, più il mangiare. Loredana faceva la parrucchiera: « Qui prendo di più, lo faccio perché voglio aprire un negozio mio ». Paola invece lavorava come commessa.
Loredana l'altro giorno è andata all'ufficio collocamento, per sbrigar pratiche. A finire i lavori nelle camere ci ha pensato la "signora".  Elide Gori aggiunge « Ho dei clienti bravissimi, si erano già fatti il letto da soli».
L'anno scorso ai tavoli serviva un ragazzo: « Prendeva 250 mila lire, quest'anno ci ha detto che per tornare ne voleva 400. Allora abbiamo preferito assumere una donna. All'uomo non piace mica tanto dare lo straccio per terra e invece i pavimenti vanno lavati ». Le due ragazze sono contente: «Quando una famiglia parte lascia sempre mille o duemila lire di mancia. C'è anche chi la mancia la da appena arriva. Ma noi trattiamo tutti uguale ».
Il lord inglese è un'eccezione che resterà nella piccola storia della « Villa Gori ». Arrivano soprattutto italiani. Molti operai e impiegati, moltissimi pensionati. Corrado Pancaldi, un ex tranviere bolognese di 62 anni, è il fedelissimo: da quindici anni fa qui le vacanze: « Ho il diabete, la signora Ines mi cucina quello che mi serve ». Aldo Gamba, un milanese, anche lui in pensione, ha lavorato per 35 anni all'Edison. E' con la moglie Ilde che sa bene quanto costa la vita: « Mi domando anch'io come facciano a fare spendere così poco con quello che danno da mangiare ». Ci sono giovani mamme con i figli. All'ora di pranzo si sentono le parole che tutte le mamme continueranno a dire: «Se non mangi la carne oggi vai a letto a dormire » e si sentono i soliti pianti che tutti i bambini continueranno a fare. La vita a « Villa Gori » va avanti così con gli orari quasi da collegio di tutte le « pensioni familiari », il bagno, la cura del sole, le chiacchiere dopo mangiato e i quattro passi prima di andare a letto.

Vittorio Monti 



sabato 5 ottobre 2013

Il bicchiere d'acqua (...e lo stress)


Uno psicologo stava spiegando come gestire meglio lo stress.

Quando sollevò un bicchiere d’acqua, tutto il pubblico immaginò che avrebbe posto la solita domanda: “Bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto?”

Quello che invece domandò fu:
“Quanto pesa questo bicchiere d’acqua?”

Le risposte variarono da 250 a 400 grammi.

“Il peso assoluto non conta, - replicò lo psicologo - dipende dal tempo per cui lo reggo. Se lo sollevo per un minuto, non è un problema.Se lo sostengo per un’ora, il braccio mi farà male. Se lo sollevo per tutto il giorno, il mio braccio sarà intorpidito e paralizzato. In ogni caso il peso del bicchiere non cambia, ma più a lungo lo sostengo, più pesante diventa.” 

E continuò:

 “Gli stress e le preoccupazioni della vita sono come quel bicchiere d’acqua. Se ci pensate per un momento, non accade nulla. Pensateci un po’ più a lungo e incominciano a far male. E se ci pensate per tutto il giorno, vi sentirete paralizzati e incapaci di far qualunque cosa.” 

Ecco perché è importante alleviare lo stress… 
Quando arrivi a casa la sera, lascia fuori le tue preoccupazioni… 
Non portarle con te durante la notte…
Metti giù il bicchiere!

Da Facebook e dal Web 

giovedì 3 ottobre 2013

Rimini in autunno

mercoledì 2 ottobre 2013

La grande copertina di Maurizio Crozza – Ballarò, 01/10/2013

martedì 1 ottobre 2013