lunedì 16 maggio 2016

Virus e Vaccini...

Roberto Burioni, Medico

13 maggio 2016 alle ore 12,23

Ieri sera, come alcuni di voi hanno potuto vedere, sono stato invitato alla trasmissione “Virus” di Rai2, che parlava di vaccini. La mia voce doveva essere quella dell’esperto che doveva riportare quella che è la verità scientifica.
In realtà la trasmissione ha preso una piega davvero pessima. Uno degli ospiti era il padre di un bambino autistico, un imprenditore, che ha affermato che l’autismo di suo figlio dipende dai vaccini. Pur rispettando il dolore di questo genitore, quello che ha detto è semplicemente falso.
La parola è quindi passata, per lungo tempo, ad un DJ in lieve disuso, Red Ronnie. Costui si è prodotto in uno sproloquio senza senso, mescolando vaccini, terapia Stamina, morti bianche (?), l’inefficacia del vaccino contro il vaiolo (qualcuno gli ha detto che grazie al vaccino il vaiolo è sparito?), pericolosità del mercurio (che non c’è più nei vaccini) e concludendo con l’affermazione che uno stile di vita sano, insieme all’allattamento materno, PREVENISCE (sic) le malattie.
A chiudere è arrivata Eleonora Brigliadori, della quale nulla dico riportando semplicemente un suo recente commento alla morte di una giovane attrice causata da un cancro al seno che illustra sufficientemente il personaggio.
Io ho fatto quello che potevo: ma mi è stato concesso un tempo minimo e infine le mie affermazioni (vere) si sono trovate sullo stesso piano di quelle di questi tre signori, tutte false. Insomma, io che studio i vaccini da una vita ho avuto molto meno spazio di tre personaggi che – credetemi – non sanno né cosa sia un virus, né cosa sia un vaccino.
Io penso che questo non debba essere tollerato in generale, ed ancora meno debba essere tollerato in una televisione pubblica, che viene sostenuta dalle nostre tasse e dal canone. Non ritengo che si possano impunemente e volontariamente diffondere notizie non solo false, ma anche pericolose, in quanto potrebbero indurre nei genitori un comportamento che può mettere a rischio grave i figli loro e degli altri.
Non ritengo che tutte le tesi e le opinioni debbano avere ospitalità. In un dibattito sull'immigrazione non penso che chi sostiene che i neri siano meno intelligenti debba avere spazio; parimenti se si parla di pari opportunità non considero appropriato fare parlare chi pensa che le donne siano esseri inferiori che si possono picchiare a piacere. Allo stesso modo chi dice che i vaccini provocano l’autismo, bugia di un medico truffatore, non può avere voce in capitolo nell'informazione. La televisione pubblica inglese, quella alla quale si ispirano i nostri politici, già da molto tempo ha stabilito che su alcuni argomenti non è consentito dare uguale spazio alla verità scientifica e a tesi che non hanno alcun fondamento.
Ritengo che il presidente del consiglio Matteo Renzi ed il Direttore della RAI Antonio Campo Dell’Orto nel momento in cui chiedono agli italiani di pagare il canone non possano consentire che questi soldi vengano utilizzati per la diffusione di notizie non solo false, ma anche pericolose.
E mi chiedo come il ministro della salute, Beatrice Lorenzin, possa permettere che, mentre da un lato lei spende dei denari pubblici per migliorare la salute degli italiani promuovendo la prevenzione, dall'altro consente che con gli stessi soldi pubblici si diffondano notizie false che porteranno i genitori a fare scelte che metteranno a rischio la salute dei cittadini.
Noi paghiamo le tasse e sappiamo di doverlo fare perché, tra le altre cose, i soldi che paghiamo vengono usati per tenere in ordine le strade e renderle più sicure.
Ieri sera abbiamo visto dei signori che, con i nostri soldi, hanno comprato dell’olio e lo hanno versato in una curva pericolosa.
Questo non possiamo tollerarlo. Contro questo dobbiamo gridare forte, e alzare la voce



sabato 14 maggio 2016

Cuore

 
A casa.
Grazie agli eroi del 118.

Grazie alla dottoressa Federica Baldazzi ed alla sua equipe.
Grazie agli angeli della Utic e del reparto di Cardiologia dell'Ospedale di Rimini.
Grazie alla mia famiglia e a tutti quelli che hanno pregato, fatto il tifo o solo dedicato un pensiero.
Grazie ai miei bimbi che sono stati dei veri ometti.
Grazie all'amore della mia vita.
Grazie


martedì 16 febbraio 2016

Mps, non è chiaro nemmeno quando è stato fondato


La data che campeggia ovunque, cioè il 1472, è solo il risultato di una campagna di branding voluta dall’ex presidente Giuseppe Mussari. Altri documenti parlano del 1624. Chi ha ragione?

di LinkPop
22 Gennaio 2016 - 08:29
 

«Non vogliamo fare business, ma trasmettere una certa idea di banca», diceva qualche anno fa Giuseppe Mussari, all’epoca presidente di Monte dei Paschi di Siena. L’idea di banca che aveva in mente, forse, era più vicina all’iperuranio che alla realtà. O forse era solo truffaldina. In ogni caso, si basava su un marchio antico che per i senesi era, in realtà, una mezza novità: il brand “1472”, anno di fondazione della banca.

La banca più antica d’Italia (forse del mondo) non poteva non essere affidabile (altrimenti come avrebbe fatto a resistere così a lungo?), e così “1472” divenne un brand, da stampare su tazze, magliette e opuscoli bancari. Il problema è che non è sempre stato così (eh no), ed esistono prove, che LinkPop è in grado di fornire, che fino a qualche tempo fa la data di fondazione di Mps non era fatta risalire al 1472, bensì al 1624. Come è possibile?

Lo dimostra questo opuscolo, un fascicolo anonimo del 1958 intitolato: “Monte dei Paschi di Siena, Istituto di credito di diritto pubblico – Le sue origini e il suo sviluppo attraverso i secoli”. Qui la data di fondazione è indicata a chiare lettere. E non è il 1472.

Come si spiega all’interno, nel 1472, Siena si trova in difficoltà. “...la scomparsa dei potentati patrizi e borghesi con il conseguente decadimento dei comerci e dell’agricoltura e l’impoverimento pressoché generale d’ogni ceto di cittadini, portarono alla creazione del primo Monte di Pietà, deliberata dal Consiglio Generale del Comune il 27 febbraio 1472”. Per cui sì, c’era un istituto, considerato antenato rispetto a Mps. E, a quanto pare, presentava già alcune caratteristiche strutturali sopravvissute fino a oggi. Come si recita qui, “Nel 1511, troviamo il Monte di Pietà seriamente compromesso per la diminuzione dei capitali occorrenti”. Un vizio antico, a quanto pare. In quell’occasione, non esistendo ancora il Pd, il Monte venne abbandonato a se stesso e chiuse i battenti.

Non passarono molti anni, però. Nel 1568 il Monte di Pietà riprende le attività, con tanto di affresco celebrativo a opera di Lorenzo Rustici: un Cristo che risorge dal Sepolcro, richiamo azzeccato a un istituto che rinasce. Ma anche qui, non mancarono problemi. La città era nel pieno di una rifioritura, ma lo statuto del nuovo Monte non riusciva a garantire prestiti senza che, in molti casi, restassero inevasi. Nel 1619, di fronte all’inadeguatezza dell’istituto, venne chiesto a gran voce la fondazione di un nuovo Monte, il terzo. La richiesta fu esaudita l’anno successivo, e venne stipulato il 2 novembre del 1624 l’atto di fondazione. In questo caso lo statuto era più chiaro e definito, e più che di Monte di Pietà, si è di fronte a una vera e propria banca. Tanto che il 2 gennaio 1625 aprono gli sportelli.

Insomma, dopo tutto questo excursus storico, il problema rimane: 1472 o 1624? Non è chiaro. Ma, in fondo, quando si parla di Mps, cosa lo è?


Da Linkiesta

lunedì 15 febbraio 2016

Onda su onda


Procederò con ordine e calma interiore.

- 1,3 miliardi di anni fa, dopo un bel balletto a spirale, un buco nero (una cosa invisibile perché risucchia tutto, luce compresa) la cui massa era 29 volte quella del Sole si è "fuso" con uno di 36 volte la massa solare. Tutto questo ha dato origine ad un bucone rotante di 62 masse solari. Ma 29+36=65, quindi che fine ha fatto la massa rimanente? È stata convertita, in una frazione di secondo, in onde gravitazionali. Immaginando lo spazio-tempo come l'acqua di uno stagno, il processo è stato simile alla formazione di increspature circolari sulla superficie a seguito della caduta di un sasso. Solo che stavolta il processo ha avuto un picco la cui potenza era 50 volte quella di tutte le stelle dell'Universo visibile.

- 100 anni fa, nel 1916, un sociopatico dall'aspetto simpatico e tutto sommato intelligente, tale Albert Einstein, pubblica una teoria all'apparenza astrusa ed insensata. Fra le altre cose, prevede che la luce possa essere influenzata dalla gravità, spianando la strada verso la nascita dell'idea di buco nero. La teoria prevede inoltre l'esistenza di onde gravitazionali, capaci di deformare lo spazio-tempo. Non solo: le sue equazioni ne descrivono per bene il comportamento. Un po' come se io prevedessi che il lardo di Colonnata curerà il cancro, e vi dicessi anche nello specifico in che modo. Io sono esperto di suini tanto quanto Einstein lo era di fisica, quindi secondo me dovreste fidarvi della mia previsione e basta. So però che non lo farete, e vorrete verificarlo, prima di regalarmi la gloria e la fama eterna. Anche i fisici non si fidarono di Albert. Grazie al cielo, la Scienza funziona così. Se però un consiglio lo volete accettare, il lardo è tutta salute.
 

- Nei decenni successivi, le varie buffe previsioni di Einstein vengono tutte verificate, a parte sta cosa delle onde gravitazionali. Allora sono anni che ci fidiamo di Einstein senza avere un qualcosa di certo al 100%? Posto che nella Scienza le certezze non esistono, in realtà quella teoria ci ha portato ai satelliti, ai cellulari, ai laser e a qualche fonte di energia (pure a una bomba, ma quella è mica colpa di Albert...), quindi diciamo che era abbastanza affidabile. Il problema è che le deformazioni da misurare per verificare le onde gravitazionali hanno dimensioni di frazioni di un atomo (frazioni minuscole di un atomo) e vanno misurate con strumenti enormi e complicatissimi.
Sempre negli stessi decenni, gli scienziati provano a verificare l'esistenza dei buchi neri, e qualche metodo indiretto lo trovano pure. Ma dannazione, sono neri. E lo spazio pure. Si avanza l'idea che possano esistere dei buchi neri rotanti e anche sistemi di due (binari) o più buchi. Ma indovinate un po'? Anche tutta sta roba è nera.
 

- 32 anni fa, nel 1984, tali Rainer Weiss e Kip Thorne (quello che ha spiegato a Nolan come fare il buco nero di Interstellar e prendersi un premio Oscar per gli effetti speciali) decidono di fondare LIGO, un progetto per costruire due rivelatori di onde gravitazionali da 4 km di lato.
 

- 14 anni fa, nel 2002, si inizia a costruire queste due orecchie per mettersi all'ascolto del cosmo. Ci vorranno due anni per far partire la versione di prova degli aggeggi. LIGO verrà poi spento per 7 anni, in modo che 1000 scienziati possano potenziarlo e dare vita ad Advanced LIGO.
 

- 5 mesi fa, il 14 settembre 2015, proprio nei giorni in cui si accendeva Advanced LIGO, le due orecchie hanno captato un segnale. Un'onda gravitazionale prodotta 1,3 miliardi di anni prima e che, proprio in quel momento, stiracchiava la Terra. Quando si dice il tempismo con la C maiuscola! Poiché, si diceva, nella Scienza fidarsi è bene ma col cavolo che lo faccio, gli scienziati frenano gli entusiasmi e si analizzano per bene i dati per mesi, giorno e notte, prima di dire cose smentibili e fare figure barbine tipo dire che i neutrini sono più veloci della luce mentre percorrono un tunnel sottovuoto che collega le orecchie di un ministro della Repubblica.
 

- Ieri, 11 febbraio 2016, durante una conferenza in diretta mondiale, 5 persone hanno mandato in visibilio migliaia di fisici nel mondo, facendo quelli che ce l'hanno più lungo degli altri, l'interferometro. Ci sta, io sarei stato molto meno composto.
Dunque, ricapitolando, in un colpo solo abbiamo:
1) l'esistenza provata delle onde gravitazionali;
2) la conferma sperimentale dei sistemi binari di buchi neri;
3) la conferma che i buchi neri possono fondersi;
4) la prova dell'esistenza dei buchi neri rotanti;
5) un tizio dalla barba improbabile che, dopo essersi preso un Oscar, si prenderà un Nobel.


Ora, se davvero non cogliete la poesia di tutto ciò e il motivo della nostra gioia, se davvero pensate che sia tutta un'inutile perdita di tempo e soldi (ma poi non avete nulla da ridire, ad esempio, sul cachet di Gabriel Garko a Sanremo o sullo stipendio di Cristiano Ronaldo), se davvero tutto ciò che vi viene in mente non è un "Poffarbacco che puffata puffosissima!" ma un "Ma a me cosa serve?", beh, mi spiace davvero per voi.
Lasciate però che sia io a farvi un paio di domande. A cosa serve la musica? A cosa serve lo sport in tv? E Masterchef? A cosa servono la letteratura e la lingua? In fondo non si viveva malaccio, quando si grugniva nelle savane centroafricane mangiando carne cruda.

Comunque, la prossima volta che vi guarderete Interstellar grazie a un laser che legge un Blu-ray (e che funziona con l'energia elettrica proveniente dai reattori francesi) o al satellite di Sky, magari commentandolo con gli amici al cellulare, pensate gran parte di ciò che avete deriva da quei fisici disadattati sociali che oggi festeggiano mentre voi li insultate perché bruciano i soldi che vorreste giocarvi sulla schedina del campionato.
Ah, un'ultima cosa: quel luogo in cui fate i leoni da tastiera sputando giudizi, quella cosa che si chiama internet, ve l'hanno dato i fisici. E anche la tastiera. E il computer.


Ora scusatemi, vado a stappare un'altra Tassoni e a continuare i festeggiamenti.

Luca Perri su Facebook



Procederò con ordine e calma interiore.- 1,3 miliardi di anni fa, dopo un bel balletto a spirale, un buco nero (una...
Pubblicato da Luca Perri su Venerdì 12 febbraio 2016

Ecco perché conti correnti e bond senior delle banche italiane non verrebbero toccati in caso di bail-in e maxi-svalutazioni

Che cosa succederebbe alle banche italiane se, per ipotesi, dovessero svalutare di colpo tutte le loro sofferenze al livello delle quattro banche regionali appena salvate? E quale sarebbe l’impatto potenziale per risparmiatori e obbligazionisti? A fornire le risposte a questo scenario estremo - e di fatto poco realistico - ci ha pensato Prometeia.
La società di consulenza ha sviluppato una simulazione completa sui bilanci di tutte le banche italiane, Bcc comprese. Ebbene: l’esito di questa proiezione è più che confortante. Il primo dato che emerge dalle simulazioni di una maxi-svalutazione (e del conseguente potenziale bail-in) è che nessun conto corrente, in nessun caso, anche sopra i 100mila euro, verrebbe toccato. Il secondo punto è che anche le obbligazioni bancarie senior, che in buona parte sono nelle tasche di molte famiglie italiane, non rischiano sostanzialmente nulla. La terza conseguenza è che l’impatto sul capitale degli istituti sarebbe sì rilevante, visto che la svalutazione lorda dei crediti ammonterebbe a poco più di 35 miliardi per l’intero sistema. Ma il fabbisogno di capitale che si verrebbe a creare (14 miliardi di euro) sarebbe gestibile con perdite per azionisti e una conversione parziale (ma non una svalutazione) solo delle obbligazioni più rischiose, ovvero gli Additional tier 1 e i bond subordinati.

Lo scenario di partenza
Per capire la ratio di questo studio dobbiamo fare un piccolo passo indietro. Lo scorso novembre l’Ue ha imposto alle quattro banche regionali (Banca Marche, Etruria, CaRiFe e CariChieti) di abbattere il valore dei loro crediti non performing dagli 8,5 miliardi, a cui erano inseriti a bilancio, a 1,5 miliardi, con una maxi-svalutazione dell’82,5%.

In teoria la mossa serviva a garantire che i crediti fossero riportati al loro valore di liquidazione, così da essere più facilmente venduti ai fondi specializzati. Da quel momento, però, è nato il problema sui mercati. Perchè gli investitori hanno iniziato a scontare che quel livello di accantonamenti diventasse uno standard per tutto il sistema bancario italiano, su cui pesano circa 200 miliardi di sofferenze, oggi coperte per quasi il 59%.
Aumentare le rettifiche in misura così massiccia, e di colpo, significherebbe erodere la redditività degli istituti, che sarebbero costretti a varare nuovi aumenti di capitale, è stato il ragionamento degli investitori. Poco conta che l’ipotesi sia estrema e che nessuno, Mario Draghi in primis, voglia chiedere qualcosa di simile. La Borsa ha comunque anticipato lo scenario estremo, ipotizzando nuove ricapitalizzazioni e bail-in a raffica, come dimostra il calo di tutte le banche italiane – ma anche europee – arretrate del 30% da fine novembre.
Lo “stress test” estremo
Prometeia ha dunque voluto mettere alla prova questa tesi con uno “stress test”. Difficile dire se il mercato oggi stia incorporando nei prezzi qualcosa che va oltre anche l’ipotesi più drammatica ipotizzabile. Ma guardiamo ai numeri degli esperti: qualora tutte le banche dovessero portare gli accantonamenti allo stesso livello applicato alle quattro banche “salvate”, queste dovrebbero svalutare in termini lordi per 35,4 miliardi, di cui 31,2 a carico delle prime 13 banche, 1,5 per le prime 10 banche “less significant” e 2,7 miliardi per le 301 Bcc considerate da Prometeia. La perdita netta sul totale degli attivi si aggirerebbe tra l’1 e l’1,2%, «una perdita molto contenuta se confrontata con circa il 3%, che è il valore medio di perdita delle banche in Europa durante la crisi finanziaria - spiega Giuseppe Lusignani, vice presidente di Prometeia - senza contare che il comparto ha già subìto perdite per circa 55 miliardi nel corso degli ultimi 4 anni, riuscendo tuttavia a sopportarne gli impatti negativi».

La perdita, che andrebbe a erodere il capitale di vigilanza, brucerebbe il capitale degli azionisti per circa 26 miliardi, al netto degli effetti fiscali (pari a quasi 10 miliardi). A quel punto ci sarebbe da ricostituire il capitale di vigilanza per riportarlo alle soglie minime Srep per le prime 13 banche e all’8 per cento per tutte le altre. Prometeia calcola che il fabbisogno di capitale ammonterebbe a circa 14 miliardi di euro.
Come ricostituire questo gap? In prima battuta, le banche potrebbero andare sul mercato, cercare capitali freschi e varare nuove ricapitalizzazioni. È un’ipotesi più che realistica, anche nel worst-case, perchè è difficile che la Vigilanza e gli istituti preferiscano creare scompiglio sul mercato scegliendo la strada della risoluzione. Se però così non fosse, e si optasse per il bail-in, con il conseguente coinvolgimento anche degli obbligazionisti, l’impatto sarebbe comunque gestibile: nessuna banca italiana, Bcc incluse, dovrebbe infatti prevedere un taglio di valore per gli obbligazionisti. I 14 miliardi di euro mancanti verrebbero infatti recuperati in parte (circa 4,3 miliardi) attraverso una conversione in azioni del 72% circa degli strumenti ibridi (Additional Tier 1) presenti sul mercato; la parte restante – altri 9,6 miliardi di euro - arriverebbero invece dalla conversione in azioni di parte (circa il 17%) dei subordinati in circolazione. Praticamente nessuna conseguenza ci sarebbe invece sulle obbligazioni senior (solo lo 0,02% dei bond in circolazione e dei depositi maggiori di 100mila euro delle large corporate). A maggior ragione, nessun impatto ci sarebbe per gli altri depositi superiori a 100mila euro, che sono ancor più tutelati (mentre per legge fuori da ogni ipotesi di bail-in rimangono i depositi sotto i 100mila euro).

L’ipotesi “Armageddon”
Ma non basta. Prometeia è andata anche oltre, ipotizzando un secondo scenario, da vero Armageddon finanziario. E ha ipotizzato una perdita degli attivi al 3%, in contemporanea, per tutte le 324 banche analizzate. La perdita netta in questo caso sarebbe di 77,3 miliardi, mentre il fabbisogno sarebbe di circa 45. Anche in questo scenario non ci sarebbe alcuna svalutazione, con il buco che sarebbe colmabile con la conversione di tutti gli At1 (6 miliardi) e del 67% dei subordinati (38,4 miliardi). Analogamente, anche in questa ipotesi conti correnti e bond senior sarebbero di fatto al sicuro.

 
L’altro scenario
Questo, come detto, negli scenari estremi. E che sono persino costruiti all’insegna dell’eccesso di cautela: le simulazioni precedenti prevedono infatti che le banche italiane riportino i ratio patrimoniali ai livelli attuali imposti dalla Bce, i cosiddetti indici definiti nell’ambito dello Srep, che sono in media - secondo stime - di 100-200 punti base più alti in Italia rispetto a Francia o Germania. Tuttavia, qualora «le sofferenze venissero svalutate, le asticelle Srep dovrebbero scendere di conseguenza, perchè minore sarebbe la rischiosità implicita nei bilanci», aggiunge Lusignani. E con criteri meno stringenti di capitale, minore sarebbe il fabbisogno. Prometeia stessa calcola quindi che, per i primi 13 gruppi, con 100 punti base di Cet1 ratio richiesto in meno, il deficit di si ridurrebbe da 13,5 a 7 miliardi; con un taglio di 200 punti base, il gap si assottiglierebbe a 3,5 miliardi. Numeri ben lontani dalle decine di miliardi ipotizzati oggi dai mercati.

@lucaaldodavi
luca.davi@ilsole24ore.com

 

venerdì 8 gennaio 2016

IL GOVERNO HA CAPITO LE CONSEGUENZE DEL BAIL-IN ?


di Paolo Savona

Errare è umano, perseverare è diabolico.
Ho pensato a questo vecchio detto quando ho letto la definizione che la Banca d’Italia ha dato del BRRD, la nuova direttiva per la “soluzione” delle crisi bancarie (Dio ci protegga dagli acronimi e dai termini inglesi che ne celano il significato): «Le nuove norme consentiranno di gestire le crisi in modo ordinato attraverso strumenti più efficaci e l’utilizzo di risorse del settore privato, riducendo gli effetti negativi sul sistema economico ed evitando che il costo dei salvataggi gravi sui contribuenti».

Questa definizione implica che:
1. le gestioni delle crisi precedenti fossero meno ordinate, in sostanza una critica che la Banca d’Italia rivolge a se stessa;
2. i nuovi strumenti saranno più efficaci di quelli usati in passato; 3. le risorse proverranno dal settore privato;
4. gli effetti negativi delle crisi sul sistema economico verranno ridotti;
5. i contribuenti non subiranno più il costo dei salvataggi bancari.

Questa elencazione dei molti vantaggi ricorda un episodio accaduto all’Assemblea francese: un ministro esordì affermando che aveva molti buoni motivi per avanzare la sua proposta; lo interruppe un deputato logicamente agguerrito che obiettò «se dispone di una buona ragione basta e avanza; ci risparmi dal sentire gli altri».

Nessuno degli effetti indicati dalla Banca d’Italia ha solidi fondamenti. In passato la soluzione delle crisi ha funzionato bene, ne consegue che gli strumenti usati erano efficaci; le risorse provenivano anche dal settore privato e affluivano mosse dalla convenienza, non dall’obbligo di legge come sarà da questo momento in poi; l’economia reale ha sempre beneficiato del precedente regime, mentre non accadrà lo stesso in futuro; l’onere sulla collettività era spalmato in modo più equo di quanto non avverrà con la nuova legge che penalizza il risparmio.

La logica economica prescrive che per raggiungere ciascun obiettivo si deve applicare almeno uno strumento, mentre la nuova legge prevede un solo strumento per raggiungere i cinque obiettivi indicati dalla Banca d’Italia; la realtà è che il vero scopo del provvedimento è unico: trasferire la responsabilità delle crisi, prodotte dalle autorità italiane ed europee, ai risparmiatori anche piccoli, quelli che avrebbero dovuto tutelare.

La decisione è frutto della grave malattia che ha colpito l’Europa, quella di voler isolare i bilanci pubblici dalle vicende dell’economia e della società che le autorità dovrebbero governare, ma non riescono a farlo, come dimostra la grave crisi finanziaria diffusasi a seguito delle insolvenze dei crediti subprime e dei loro derivati.

Per proteggere i conti pubblici si penalizzano quelli delle famiglie, già messe a dura prova dall’incapacità mostrata dalle autorità di saper governare la crisi e la sua diffusione.

La legittimazione dell’irresponsabilità delle autorità e della responsabilità dei risparmiatori è priva di basi pratiche; infatti il nuovo regime di risoluzione delle crisi porta sulle spalle delle banche un onere solo inizialmente prevedibile, quello di costituire un fondo presso l’organismo di tutela dei depositi, e un onere imprevedibile se lo devono ricostituire se utilizzato. Le banche trasferiranno l’onere in forme più subdole alla clientela per ricostituire il rendimento del loro capitale al fine di evitare i riflessi negativi sulla loro capacità di concedere credito alle imprese produttive e, di conseguenza, all’intero sistema economico; ma non basta, perché ridurranno la remunerazione del risparmio a esse affidato e aumenteranno il costo dei servizi prestati. In conclusione la collettività pagherà comunque l’onere degli interventi in forme più difficili da valutare.

Chi trae un vantaggio dalla nuova regolamentazione sono quindi solo le autorità responsabili delle crisi per non aver saputo governare il mercato. 

Ma anch’esse si illudono, perché se vogliono avere un sistema del credito e del risparmio all’altezza dei compiti che attendono l’economia fuori dalle speranze e dalle chiacchiere in corso dovranno darsi carico di studiare un meccanismo meno pericoloso di quello approvato che protegga l’offerta di credito e il risparmio che la sostiene.

Ciò che sconcerta in questo provvedimento, come nella spiegazione datane dalla Banca d’Italia che lo ha propiziato, è che non si parla del problema di fondo, quello di chi fornisce le informazioni ai clienti della banche; danno invece la colpa alla loro ignoranza, che è anche frutto delle omissioni pubbliche in materia. Ammesso che l’ignoranza possa essere attenuata o, al limite, anche sconfitta, su quali basi statistiche deve poggiare l’uso del sapere finanziario conquistato dai risparmiatori e chi è tenuto a fornirle? In passato, la tutela del risparmio era stata affidata alle società di rating, istituzioni private che ne hanno combinato più di Bertoldo di Francia. Non si può delegare a esse o altre simili istituzioni private il compito di attuare l’art. 47 della nostra Costituzione.

Devono provvedere le autorità. Ciò sarà possibile solo dividendo nettamente il sistema dei pagamenti, le cui prestazioni vanno totalmente garantite dallo Stato, dal sistema del credito, che si svolgerà sotto il controllo del Governo, la vigilanza di enti delegati e, in caso di crisi, risolto con norme meno rigide di quelle erroneamente introdotte con il bail-in. Si può sperare in una maggiore attenzione al problema da parte degli organi democratici rispetto a quella finora prestata? Le informazioni raccolte sul trattamento discriminante seguito dai paesi membri dell’UE testimonia il modo affrettato e superficiale con cui la direttiva è stata varata e da noi approvata.

Porvi rimedio è tanto più urgente e importante quanto più si intendono ridurre i livelli di protezione sociale per necessità legate alla competizione globale con paesi che non hanno gli stessi livelli. Da decenni si va operando sul sistema pensionistico senza sviluppare in parallelo regimi di tutela del risparmio volontariamente accumulato; anzi le due responsabilità, quella di formarsi una previdenza integrativa continuando a contribuire a quella pubblica vengono accompagnate da un aumento dei rischi finanziari corsi dal cittadino, ormai ritornato allo stato di suddito di leggi improvvide approvate dal suo decisore collettivo, il Parlamento.

La protezione della collettività dagli oneri delle crisi non può avvenire infliggendo ai risparmiatori una perdita, con le conseguenze indicate, ma migliorando i meccanismi pubblici di informazione e di vigilanza, come pure i meccanismi di soluzione delle crisi; per questi ultimi insisto sul fatto che vanno eliminati i conflitti di interesse esistenti che hanno generato ritardi nel salvataggio e oneri più elevati per la collettività, ponendo le funzioni di vigilanza e di soluzione in posizione di autonomia e reciproca indipendenza. Come consuetudine, lo si capirà solo dopo che i buoi sono scappati dalle stalle, ossia a crisi scoppiata.

Paolo Savona (pubblicato il 5.1.16 su MF)

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