Per alcuni studiosi l’amore deriverebbe dal sanscrito mar, morte, di cui rappresenta l’esatto contrario: Amar, non-morte, ovvero immortale.
Come chiunque abbia subito un torto precoce, sono cresciuto con la pretesa di essere in credito con Amar.
Come chiunque abbia subito un torto precoce, sono cresciuto con la pretesa di essere in credito con Amar.
Una sensazione che ho ritrovato nel corso della vita in tutte le persone che avevano perduto ingiustamente un affetto, un sogno, un lavoro.
Nella loro sofferenza, o insofferenza, ho visto rispecchiarsi la mia. Quel desiderio inestinguibile di essere risarciti, ricompensati.
Una molla forsennata, ma alla lunga frustrante: chi pensa che la felicità consista nell’essere amati cerca negli altri qualcosa che, una volta trovato, lo rende stranamente infelice.
Finché l’altalena della vita gli dischiuderà le porte di una scoperta, che come tante altre stava già scritta in un libro.
Il «Simposio» di Platone.
Tutti i personaggi concordano su un punto: Eros, il demone dell’amore, coincide con la persona amata.
Tutti tranne Socrate, che nelle ultime pagine ribalta la prospettiva: Eros non visita l’amato, ma l’amante.
E’ l’amante a essere posseduto dall’energia che trasforma le larve in uomini e gli uomini in dei.
E’ l’amante che desidera, soffre, sublima.
In una parola: ama. Ah, se avessi letto il Simposio con più attenzione al ginnasio.
Ma forse non lo avrei capito.
Ora invece so.
So che la felicità non consiste nell’essere amati.
Consiste nell’amare.
Senza condizioni, nemmeno quella di essere ricambiati.
Buon san Valentino.
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