(di Gian Paolo Renello)
Silvio, rimembri ancora
Quel tempo della tua vita mortale
d'evasore fiscale,
Quando viltà splendea
Negli occhi tuoi lubrichi e inver maligni,
E tu, tetro e penoso, il limitare
Di gioventù assalivi?
Sonavan le tremende
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo vanto,
Allor che all'orge femminili intento
trombavi, assai contento
Di quel solo goder che in mente avevi.
Eri un maschio voglioso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
Verso i balconi del tuo gran bordello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che rincorrea una povera fanciulla.
Gemeva il ciel l'osceno,
tuo andar sotto le coltri,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Oh che discorsi ignavi,
Che gran panze, che cori, o Silvio oddio!!
Quale allor ti apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotante scene,
Un dispetto mi viene
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler questa sventura.
O femminea natura,
Ché non gettasti via
Quel che nasceva allor? perchè di tanto
Punisci tutti noi?
Tu pria che il tempo inaridisse il senso,
Da magistrati non mai domo o vinto,
Fuggivi, o miserello.
E non vedevi Il fior degli anni tuoi;
Non ti fotteva il core
La giusta pena or per le bionde o more,
Or per gli sguardi tuoi indecenti e trivi;
Teco fecer donnacce ai dì festivi
Bunga bunga d'amore.
Anche crescea fra poco
L'escort Ruby tua dolce: agli anni tuoi
Anche negaro i fati
La giovanezza. Eh come,
Come passato sei,
Vecchio maiale da un'età sì nova,
A inabbissato pene!
Questo è quel mondo? questi
Quei letti, l'orror, l'orge, gli eventi
per cui pagasti le sontuose cene?
Questa la sorte de i tuoi di' ruggenti?
All'apparir del vero
Tu, misero, cadesti: e con la mano
stanca nemmeno ormai una donna ignuda
ti volle pur lontano.
Quel tempo della tua vita mortale
d'evasore fiscale,
Quando viltà splendea
Negli occhi tuoi lubrichi e inver maligni,
E tu, tetro e penoso, il limitare
Di gioventù assalivi?
Sonavan le tremende
Stanze, e le vie dintorno,
Al tuo perpetuo vanto,
Allor che all'orge femminili intento
trombavi, assai contento
Di quel solo goder che in mente avevi.
Eri un maschio voglioso: e tu solevi
Così menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
Talor lasciando e le sudate carte,
Ove il tempo mio primo
E di me si spendea la miglior parte,
Verso i balconi del tuo gran bordello
Porgea gli orecchi al suon della tua voce,
Ed alla man veloce
Che rincorrea una povera fanciulla.
Gemeva il ciel l'osceno,
tuo andar sotto le coltri,
E quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
Quel ch'io sentiva in seno.
Oh che discorsi ignavi,
Che gran panze, che cori, o Silvio oddio!!
Quale allor ti apparia
La vita umana e il fato!
Quando sovviemmi di cotante scene,
Un dispetto mi viene
Acerbo e sconsolato,
E tornami a doler questa sventura.
O femminea natura,
Ché non gettasti via
Quel che nasceva allor? perchè di tanto
Punisci tutti noi?
Tu pria che il tempo inaridisse il senso,
Da magistrati non mai domo o vinto,
Fuggivi, o miserello.
E non vedevi Il fior degli anni tuoi;
Non ti fotteva il core
La giusta pena or per le bionde o more,
Or per gli sguardi tuoi indecenti e trivi;
Teco fecer donnacce ai dì festivi
Bunga bunga d'amore.
Anche crescea fra poco
L'escort Ruby tua dolce: agli anni tuoi
Anche negaro i fati
La giovanezza. Eh come,
Come passato sei,
Vecchio maiale da un'età sì nova,
A inabbissato pene!
Questo è quel mondo? questi
Quei letti, l'orror, l'orge, gli eventi
per cui pagasti le sontuose cene?
Questa la sorte de i tuoi di' ruggenti?
All'apparir del vero
Tu, misero, cadesti: e con la mano
stanca nemmeno ormai una donna ignuda
ti volle pur lontano.
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