🚨🪖Ho ascoltato un discorso monumentale di Donald Tusk. Lasciate da parte i colori politici: non è questo il punto. Non più. Non in questo momento. C'è un primo ministro che parla alla sua nazione con una schiettezza da pelle d'oca. Dice che la Polonia è in guerra, che è importante che i suoi connazionali lo capiscano. La Storia non è finita. La Storia è tornata, davvero. Buona lettura.
"C’è la guerra. Oggi il compito più grande, il compito più importante di tutti i leader dell’opinione pubblica è rendere consapevoli fino in fondo, nel profondo delle menti e dei cuori, l’intera comunità occidentale e l’intera comunità transatlantica che c’è la guerra. Una guerra non voluta, a tratti strana, di un nuovo tipo, ma pur sempre guerra.
Non serve tornare a Tucidide e alla sua, purtroppo, universale e sempre confermata tesi secondo cui la pace è soltanto un incidente tra stati naturali di conflitto e di guerra. Suona pessimista, ma è tremendamente realistico.
Appartengo a quella generazione che è nata e cresciuta dopo la guerra. Tutto era “post-bellico”. Eppure quella guerra era ancora a portata di mano, nei suoi segni, nella memoria di ciò che comporta la guerra.
Quando abbiamo visto le immagini scioccanti di Bucha, le testimonianze di donne violentate, i racconti di massacri di bambini e anziani, mi sono tornate alla mente le parole di mia nonna che raccontava la sua esperienza a Danzica durante la Seconda guerra mondiale.
Quando abbiamo visto Mariupol distrutta, abbiamo visto città polacche. Io non sono così vecchio, ma quando andavo a scuola nella mia Danzica natale, metà del tragitto era ancora tra le rovine della Seconda guerra mondiale.
Sembrava che quel dopoguerra sarebbe stato qualcosa di duraturo. Soprattutto a Danzica, dove nacque Solidarność e dove fu abbattuto il comunismo, sembrava che le ultime conseguenze negative della Seconda guerra mondiale fossero state definitivamente cancellate.
La caduta del comunismo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la riconquista della libertà da parte della Polonia e degli altri Paesi della regione, quel trionfo dell’Occidente: alcuni proclamarono perfino la “fine della storia”. Sembrava che non solo la mia generazione, ma anche quella dei miei figli e dei miei nipoti avrebbe vissuto in pace.
È meglio che ci sia chiaro: non viviamo nell’illusione.
La pace non è data una volta per tutte.
La pace non è qualcosa di scontato, men che meno in questa parte del mondo. È esattamente il contrario.
(...) Voglio dirlo chiaramente, e voglio che in Polonia i miei connazionali lo sentano con forza: questa guerra è anche la nostra guerra.
Spesso, sia qui a Varsavia sia altrove nel mondo, sentiamo persone dire: “Non è la nostra guerra, non ci riguarda. Che se la sbrighino da soli, non vogliamo pagare, non vogliamo sacrificare né soldi né tempo, e tanto meno la vita dei nostri soldati”.
Ma dobbiamo essere consapevoli che la questione non è se qualcuno ami l’Ucraina o se nella storia abbia avuto buone o cattive esperienze con l’Ucraina. Non è una questione di semplice solidarietà con un Paese aggredito. È una questione di sicurezza e di sopravvivenza dell’intera civiltà occidentale.
Questa è la nostra guerra perché la guerra in Ucraina è solo una parte di un progetto sinistro che ciclicamente riappare nel mondo. Lo scopo di quel progetto politico è sempre lo stesso: come sottomettere i popoli, come togliere la libertà ai singoli individui, come far trionfare autoritarismi e dispotismi, crudeltà e negazione dei diritti umani.
Non elencherò tutti gli attributi di ciò che è oggi proprio del regime di Putin, e non solo in Russia. Ma per questo, che piaccia o meno, questa è la nostra guerra.
Non solo per solidarietà con gli aggrediti, ma per il nostro stesso interesse fondamentale.
Se perderemo questa guerra - e dobbiamo parlarne in prima persona - le conseguenze ricadranno non solo sulla nostra generazione, ma anche su quelle future, in Polonia, in Europa, negli Stati Uniti e ovunque nel mondo.
"C’è la guerra. Oggi il compito più grande, il compito più importante di tutti i leader dell’opinione pubblica è rendere consapevoli fino in fondo, nel profondo delle menti e dei cuori, l’intera comunità occidentale e l’intera comunità transatlantica che c’è la guerra. Una guerra non voluta, a tratti strana, di un nuovo tipo, ma pur sempre guerra.
Non serve tornare a Tucidide e alla sua, purtroppo, universale e sempre confermata tesi secondo cui la pace è soltanto un incidente tra stati naturali di conflitto e di guerra. Suona pessimista, ma è tremendamente realistico.
Appartengo a quella generazione che è nata e cresciuta dopo la guerra. Tutto era “post-bellico”. Eppure quella guerra era ancora a portata di mano, nei suoi segni, nella memoria di ciò che comporta la guerra.
Quando abbiamo visto le immagini scioccanti di Bucha, le testimonianze di donne violentate, i racconti di massacri di bambini e anziani, mi sono tornate alla mente le parole di mia nonna che raccontava la sua esperienza a Danzica durante la Seconda guerra mondiale.
Quando abbiamo visto Mariupol distrutta, abbiamo visto città polacche. Io non sono così vecchio, ma quando andavo a scuola nella mia Danzica natale, metà del tragitto era ancora tra le rovine della Seconda guerra mondiale.
Sembrava che quel dopoguerra sarebbe stato qualcosa di duraturo. Soprattutto a Danzica, dove nacque Solidarność e dove fu abbattuto il comunismo, sembrava che le ultime conseguenze negative della Seconda guerra mondiale fossero state definitivamente cancellate.
La caduta del comunismo, la dissoluzione dell’Unione Sovietica, la riconquista della libertà da parte della Polonia e degli altri Paesi della regione, quel trionfo dell’Occidente: alcuni proclamarono perfino la “fine della storia”. Sembrava che non solo la mia generazione, ma anche quella dei miei figli e dei miei nipoti avrebbe vissuto in pace.
È meglio che ci sia chiaro: non viviamo nell’illusione.
La pace non è data una volta per tutte.
La pace non è qualcosa di scontato, men che meno in questa parte del mondo. È esattamente il contrario.
(...) Voglio dirlo chiaramente, e voglio che in Polonia i miei connazionali lo sentano con forza: questa guerra è anche la nostra guerra.
Spesso, sia qui a Varsavia sia altrove nel mondo, sentiamo persone dire: “Non è la nostra guerra, non ci riguarda. Che se la sbrighino da soli, non vogliamo pagare, non vogliamo sacrificare né soldi né tempo, e tanto meno la vita dei nostri soldati”.
Ma dobbiamo essere consapevoli che la questione non è se qualcuno ami l’Ucraina o se nella storia abbia avuto buone o cattive esperienze con l’Ucraina. Non è una questione di semplice solidarietà con un Paese aggredito. È una questione di sicurezza e di sopravvivenza dell’intera civiltà occidentale.
Questa è la nostra guerra perché la guerra in Ucraina è solo una parte di un progetto sinistro che ciclicamente riappare nel mondo. Lo scopo di quel progetto politico è sempre lo stesso: come sottomettere i popoli, come togliere la libertà ai singoli individui, come far trionfare autoritarismi e dispotismi, crudeltà e negazione dei diritti umani.
Non elencherò tutti gli attributi di ciò che è oggi proprio del regime di Putin, e non solo in Russia. Ma per questo, che piaccia o meno, questa è la nostra guerra.
Non solo per solidarietà con gli aggrediti, ma per il nostro stesso interesse fondamentale.
Se perderemo questa guerra - e dobbiamo parlarne in prima persona - le conseguenze ricadranno non solo sulla nostra generazione, ma anche su quelle future, in Polonia, in Europa, negli Stati Uniti e ovunque nel mondo.
Non dobbiamo avere illusioni su questo.
Quando dico che questa è la nostra guerra, deve avere anche conseguenze pratiche. La Polonia lo ha capito abbastanza presto, non solo per ragioni geografiche e storiche, ma anche per una valutazione lucida di ciò che è la Russia contemporanea.
Abbiamo capito presto che sulla sicurezza non si può risparmiare, e che la solidarietà e l’unità dell’Unione Europea, della NATO e dell’intera famiglia transatlantica sono condizioni indispensabili non solo per sopravvivere, ma per sconfiggere chi attacca i fondamenti della nostra civiltà.
Lo so: non è un compito semplice. Ma ricordiamoci tutti - non solo qui in Polonia - che bisogna prima di tutto contare su se stessi. Per questo abbiamo deciso di armare la Polonia e di modernizzare il nostro esercito su larga scala, perché sappiamo che dobbiamo contare prima di tutto su noi stessi. Se vogliamo contare sugli alleati, dobbiamo essere un elemento a pieno titolo del Patto Atlantico.
A volte abbiamo l’impressione che nella comunità transatlantica compaiano delle crepe. Traiamone una lezione. Non chiediamoci come mantenere l’unità perfetta o come convincere gli Stati Uniti a un maggiore e duraturo impegno sull’Ucraina. Dimostriamo prima di tutto che noi europei siamo capaci di mobilitare le nostre società, i nostri governi e la nostra comunità a un’azione efficace.
L’America ha il diritto di chiedere un maggiore impegno all’Europa, così come noi abbiamo il diritto di aspettarci dall’America che tratti la comunità transatlantica come una priorità assoluta, come una garanzia della sopravvivenza del nostro mondo. Non si tratta di impartire lezioni reciproche, ma di imparare gli uni dagli altri i propri doveri di fronte a questa guerra - la nostra guerra.
Non è vero, come sostengono in molti, che questa guerra non si possa vincere. Tutto dipende dalle nostre teste, perché i numeri parlano da soli. Se l’Ucraina, pur pagando un prezzo enorme - e sappiamo bene qui in Polonia quanto sia alto quel prezzo - dimostra che non esiste la logica della resa, allora dobbiamo trarne forza.
Se l’Ucraina non si è arresa, se l’Ucraina continua a combattere - e se persino il presidente Trump, con sorpresa di molti, ha detto pubblicamente “Sì, l’Ucraina può vincere questa guerra” - queste parole hanno un peso.
La fede in questa possibilità ha un peso enorme, perché si perde o si vince prima nelle menti e nei cuori, e solo dopo sul campo di battaglia.
Se l’Ucraina riesce a resistere in modo eroico ma anche razionale e pragmatico, perché mai tutta l’Europa e l’intera comunità transatlantica dovrebbero cadere nei complessi di fronte all’aggressore?
Se anche solo per un istante pensassimo che questa guerra l’Occidente debba perderla, saremmo maledetti fino alla fine del mondo.
Sarebbe imperdonabile.
Tutti i dati ci dicono il contrario: guardiamo a noi stessi, all’America, guardiamo a come combatte l’Ucraina. Non c’è alcuna ragione per pensare in termini di capitolazione. Nessuna, se non la debolezza di volontà, il dubbio, la codardia, la mancanza di immaginazione.
Se liberiamo i nostri cuori e le nostre menti da tutto questo, non ci sarà alcun motivo per rinunciare alla solidarietà, alla cooperazione e al sostegno all’Ucraina con ogni mezzo disponibile. Lo ripeto: lo facciamo per noi stessi, non solo per gli ucraini. Lo facciamo per noi, per il nostro futuro.
E oggi abbiamo un altro esempio che dimostra che non serve essere una potenza per vincere. Spero che l’immagine da Varsavia arrivi a Chișinău, alla nostra amica Maia Sandu: la Moldova ha vinto ancora una volta contro una potenza. Conoscete bene la piccolezza del loro esercito, eppure hanno resistito non solo all’occupazione de facto oltre il Dnestr, ma anche a un’aggressione diretta con brutali ingerenze russe nel loro processo elettorale.
Hanno vinto perché nei loro cuori e nelle loro menti avevano la convinzione che non ci si deve arrendere, e perché credevano nella solidarietà, e non sono rimasti delusi dall’Europa.
Per questo la parola “solidarietà”, che in Polonia ha un significato particolare, oggi dovrebbe averlo per tutto l’Occidente. Dobbiamo essere solidali non per sentimentalismo, ma perché solo la solidarietà può garantire la vittoria. Se saremo solidali, come recita lo slogan del nostro incontro di oggi, non perderemo. Sarà l’Ucraina a vincere questa guerra, sarà salva l’indipendenza dell’Ucraina, sarà salva la prospettiva delle nostre future generazioni.
Io ci credo fermamente. Pensateci, parlatene e agite.
Grazie".
Dal Blog di Dario D'Angelo
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