La data che campeggia ovunque, cioè il 1472, è solo il risultato di una campagna di branding voluta dall’ex presidente Giuseppe Mussari. Altri documenti parlano del 1624. Chi ha ragione? 
 di LinkPop 
22 Gennaio 2016 - 08:29 
 
 

 
«Non vogliamo fare business, ma trasmettere una certa idea di banca», diceva qualche anno fa Giuseppe Mussari, all’epoca presidente di Monte dei Paschi di Siena. L’idea di banca che aveva in mente, forse, era più vicina all’iperuranio che alla realtà. O forse era solo truffaldina. In ogni caso, si basava su un marchio antico che per i senesi era, in realtà, una mezza novità: il brand “1472”, anno di fondazione della banca. 
La banca più antica d’Italia (forse del mondo) non poteva non essere affidabile (altrimenti come avrebbe fatto a resistere così a lungo?), e così “1472” divenne un brand, da stampare su tazze, magliette e opuscoli bancari. Il problema è che non è sempre stato così (eh no), ed esistono prove, che LinkPop è in grado di fornire, che fino a qualche tempo fa la data di fondazione di Mps non era fatta risalire al 1472, bensì al 1624. Come è possibile? 
Lo dimostra questo opuscolo, un fascicolo anonimo del 1958 intitolato: “Monte dei Paschi di Siena, Istituto di credito di diritto pubblico – Le sue origini e il suo sviluppo attraverso i secoli”. Qui la data di fondazione è indicata a chiare lettere. E non è il 1472.    
  Come si spiega all’interno, nel 1472, Siena si trova in difficoltà. “...la scomparsa dei potentati patrizi e borghesi con il conseguente decadimento dei comerci e dell’agricoltura e l’impoverimento pressoché generale d’ogni ceto di cittadini, portarono alla creazione del primo Monte di Pietà, deliberata dal Consiglio Generale del Comune il 27 febbraio 1472”. Per cui sì, c’era un istituto, considerato antenato rispetto a Mps. E, a quanto pare, presentava già alcune caratteristiche strutturali sopravvissute fino a oggi. Come si recita qui, “Nel 1511, troviamo il Monte di Pietà seriamente compromesso per la diminuzione dei capitali occorrenti”. Un vizio antico, a quanto pare. In quell’occasione, non esistendo ancora il Pd, il Monte venne abbandonato a se stesso e chiuse i battenti.
  Come si spiega all’interno, nel 1472, Siena si trova in difficoltà. “...la scomparsa dei potentati patrizi e borghesi con il conseguente decadimento dei comerci e dell’agricoltura e l’impoverimento pressoché generale d’ogni ceto di cittadini, portarono alla creazione del primo Monte di Pietà, deliberata dal Consiglio Generale del Comune il 27 febbraio 1472”. Per cui sì, c’era un istituto, considerato antenato rispetto a Mps. E, a quanto pare, presentava già alcune caratteristiche strutturali sopravvissute fino a oggi. Come si recita qui, “Nel 1511, troviamo il Monte di Pietà seriamente compromesso per la diminuzione dei capitali occorrenti”. Un vizio antico, a quanto pare. In quell’occasione, non esistendo ancora il Pd, il Monte venne abbandonato a se stesso e chiuse i battenti. 
Non passarono molti anni, però. Nel 1568 il Monte di Pietà riprende le attività, con tanto di affresco celebrativo a opera di Lorenzo Rustici: un Cristo che risorge dal Sepolcro, richiamo azzeccato a un istituto che rinasce. Ma anche qui, non mancarono problemi. La città era nel pieno di una rifioritura, ma lo statuto del nuovo Monte non riusciva a garantire prestiti senza che, in molti casi, restassero inevasi. Nel 1619, di fronte all’inadeguatezza dell’istituto, venne chiesto a gran voce la fondazione di un nuovo Monte, il terzo. La richiesta fu esaudita l’anno successivo, e venne stipulato il 2 novembre del 1624 l’atto di fondazione. In questo caso lo statuto era più chiaro e definito, e più che di Monte di Pietà, si è di fronte a una vera e propria banca. Tanto che il 2 gennaio 1625 aprono gli sportelli. 
Insomma, dopo tutto questo excursus storico, il problema rimane: 1472 o 1624? Non è chiaro. Ma, in fondo, quando si parla di Mps, cosa lo è?
Da Linkiesta 
 
 
 
            
        
          
        
          
        
Procederò con ordine e calma interiore.
 - 1,3 miliardi di anni
 fa, dopo un bel balletto a spirale, un buco nero (una cosa invisibile 
perché risucchia tutto, luce compresa) la cui massa era 29 volte quella 
del Sole si è "fuso" con uno di 36 volte la massa solare. Tutto questo 
ha dato origine ad un bucone rotante di 62 masse solari. Ma 29+36=65, 
quindi che fine ha fatto la massa rimanente? È stata convertita, in una 
frazione di secondo, in onde gravitazionali. Immaginando lo spazio-tempo
 come l'acqua di uno stagno, il processo è stato simile alla formazione 
di increspature circolari sulla superficie a seguito della caduta di un 
sasso. Solo che stavolta il processo ha avuto un picco la cui potenza 
era 50 volte quella di tutte le stelle dell'Universo visibile.
 - 100
 anni fa, nel 1916, un sociopatico dall'aspetto simpatico e tutto 
sommato intelligente, tale Albert Einstein, pubblica una teoria 
all'apparenza astrusa ed insensata. Fra le altre cose, prevede che la 
luce possa essere influenzata dalla gravità, spianando la strada verso 
la nascita dell'idea di buco nero. La teoria prevede inoltre l'esistenza
 di onde gravitazionali, capaci di deformare lo spazio-tempo. Non solo: 
le sue equazioni ne descrivono per bene il comportamento. Un po' come se
 io prevedessi che il lardo di Colonnata curerà il cancro, e vi dicessi 
anche nello specifico in che modo. Io sono esperto di suini tanto quanto
 Einstein lo era di fisica, quindi secondo me dovreste fidarvi della mia
 previsione e basta. So però che non lo farete, e vorrete verificarlo, 
prima di regalarmi la gloria e la fama eterna. Anche i fisici non si 
fidarono di Albert. Grazie al cielo, la Scienza funziona così. Se però 
un consiglio lo volete accettare, il lardo è tutta salute.
 
- Nei 
decenni successivi, le varie buffe previsioni di Einstein vengono tutte 
verificate, a parte sta cosa delle onde gravitazionali. Allora sono anni
 che ci fidiamo di Einstein senza avere un qualcosa di certo al 100%? 
Posto che nella Scienza le certezze non esistono, in realtà quella 
teoria ci ha portato ai satelliti, ai cellulari, ai laser e a qualche 
fonte di energia (pure a una bomba, ma quella è mica colpa di 
Albert...), quindi diciamo che era abbastanza affidabile. Il problema è 
che le deformazioni da misurare per verificare le onde gravitazionali 
hanno dimensioni di frazioni di un atomo (frazioni minuscole di un 
atomo) e vanno misurate con strumenti enormi e complicatissimi. 
 
Sempre negli stessi decenni, gli scienziati provano a verificare 
l'esistenza dei buchi neri, e qualche metodo indiretto lo trovano pure. 
Ma dannazione, sono neri. E lo spazio pure. Si avanza l'idea che possano
 esistere dei buchi neri rotanti e anche sistemi di due (binari) o più 
buchi. Ma indovinate un po'? Anche tutta sta roba è nera.
 
- 32 anni 
fa, nel 1984, tali Rainer Weiss e Kip Thorne (quello che ha spiegato a 
Nolan come fare il buco nero di Interstellar e prendersi un premio Oscar
 per gli effetti speciali) decidono di fondare LIGO, un progetto per 
costruire due rivelatori di onde gravitazionali da 4 km di lato.
 
- 
14 anni fa, nel 2002, si inizia a costruire queste due orecchie per 
mettersi all'ascolto del cosmo. Ci vorranno due anni per far partire la 
versione di prova degli aggeggi. LIGO verrà poi spento per 7 anni, in 
modo che 1000 scienziati possano potenziarlo e dare vita ad Advanced 
LIGO.
 
- 5 mesi fa, il 14 settembre 2015, proprio nei giorni in cui 
si accendeva Advanced LIGO, le due orecchie hanno captato un segnale. 
Un'onda gravitazionale prodotta 1,3 miliardi di anni prima e che, 
proprio in quel momento, stiracchiava la Terra. Quando si dice il 
tempismo con la C maiuscola! Poiché, si diceva, nella Scienza fidarsi è 
bene ma col cavolo che lo faccio, gli scienziati frenano gli entusiasmi e
 si analizzano per bene i dati per mesi, giorno e notte, prima di dire 
cose smentibili e fare figure barbine tipo dire che i neutrini sono più 
veloci della luce mentre percorrono un tunnel sottovuoto che collega le 
orecchie di un ministro della Repubblica.
 
- Ieri, 11 febbraio 2016, 
durante una conferenza in diretta mondiale, 5 persone hanno mandato in 
visibilio migliaia di fisici nel mondo, facendo quelli che ce l'hanno 
più lungo degli altri, l'interferometro. Ci sta, io sarei stato molto 
meno composto.
 Dunque, ricapitolando, in un colpo solo abbiamo:
 1) l'esistenza provata delle onde gravitazionali;
 2) la conferma sperimentale dei sistemi binari di buchi neri;
 3) la conferma che i buchi neri possono fondersi;
 4) la prova dell'esistenza dei buchi neri rotanti;
 5) un tizio dalla barba improbabile che, dopo essersi preso un Oscar, si prenderà un Nobel. 
Ora, se davvero non cogliete la poesia di tutto ciò e il motivo della 
nostra gioia, se davvero pensate che sia tutta un'inutile perdita di 
tempo e soldi (ma poi non avete nulla da ridire, ad esempio, sul cachet 
di Gabriel Garko a Sanremo o sullo stipendio di Cristiano Ronaldo), se 
davvero tutto ciò che vi viene in mente non è un "Poffarbacco che 
puffata puffosissima!" ma un "Ma a me cosa serve?", beh, mi spiace 
davvero per voi.
 Lasciate però che sia io a farvi un paio di 
domande. A cosa serve la musica? A cosa serve lo sport in tv? E 
Masterchef? A cosa servono la letteratura e la lingua? In fondo non si 
viveva malaccio, quando si grugniva nelle savane centroafricane 
mangiando carne cruda.
 Comunque, la prossima volta che vi 
guarderete Interstellar grazie a un laser che legge un Blu-ray (e che 
funziona con l'energia elettrica proveniente dai reattori francesi) o al
 satellite di Sky, magari commentandolo con gli amici al cellulare, 
pensate gran parte di ciò che avete deriva da quei fisici disadattati 
sociali che oggi festeggiano mentre voi li insultate perché bruciano i 
soldi che vorreste giocarvi sulla schedina del campionato.
 Ah, 
un'ultima cosa: quel luogo in cui fate i leoni da tastiera sputando 
giudizi, quella cosa che si chiama internet, ve l'hanno dato i fisici. E
 anche la tastiera. E il computer.
Ora scusatemi, vado a stappare un'altra Tassoni e a continuare i festeggiamenti.
Luca Perri su Facebook 
Procederò con ordine e calma interiore.- 1,3 miliardi di anni fa, dopo un bel balletto a spirale, un buco nero (una...
Pubblicato da Luca Perri su Venerdì 12 febbraio 2016
 
 
 
 
 
Che cosa succederebbe alle banche italiane se, per ipotesi, 
dovessero svalutare di colpo tutte le loro sofferenze al livello delle 
quattro banche regionali appena salvate? E quale sarebbe l’impatto 
potenziale per risparmiatori e obbligazionisti? A fornire le risposte a 
questo scenario estremo - e di fatto poco realistico - ci ha pensato 
Prometeia. 
La società di consulenza ha sviluppato una simulazione 
completa sui bilanci di tutte le banche italiane, Bcc comprese. Ebbene: 
l’esito di questa proiezione è più che confortante. Il primo dato che 
emerge dalle simulazioni di una maxi-svalutazione (e del conseguente 
potenziale bail-in) è che nessun conto corrente, in nessun caso, anche 
sopra i 100mila euro, verrebbe toccato. Il secondo punto è che anche le 
obbligazioni bancarie senior, che in buona parte sono nelle tasche di 
molte famiglie italiane, non rischiano sostanzialmente nulla. La terza 
conseguenza è che l’impatto sul capitale degli istituti sarebbe sì 
rilevante, visto che la svalutazione lorda dei crediti ammonterebbe a 
poco più di 35 miliardi per l’intero sistema. Ma il fabbisogno di 
capitale che si verrebbe a creare (14 miliardi di euro) sarebbe 
gestibile con perdite per azionisti e una conversione parziale (ma non 
una svalutazione) solo delle obbligazioni più rischiose, ovvero gli 
Additional tier 1 e i bond subordinati.
 
  
 
 
Lo scenario di partenza
Per capire la ratio di questo studio dobbiamo fare un piccolo passo 
indietro. Lo scorso novembre l’Ue ha imposto alle quattro banche 
regionali (Banca Marche, Etruria, CaRiFe e CariChieti) di abbattere il 
valore dei loro crediti non performing dagli 8,5 miliardi, a cui erano 
inseriti a bilancio, a 1,5 miliardi, con una maxi-svalutazione 
dell’82,5%. 
In teoria la mossa serviva a garantire che i crediti fossero 
riportati al loro valore di liquidazione, così da essere più facilmente 
venduti ai fondi specializzati. Da quel momento, però, è nato il 
problema sui mercati. Perchè gli investitori hanno iniziato a scontare 
che quel livello di accantonamenti diventasse uno standard per tutto il 
sistema bancario italiano, su cui pesano circa 200 miliardi di 
sofferenze, oggi coperte per quasi il 59%. 
Aumentare le rettifiche in misura così massiccia, e di colpo, 
significherebbe erodere la redditività degli istituti, che sarebbero 
costretti a varare nuovi aumenti di capitale, è stato il ragionamento 
degli investitori. Poco conta che l’ipotesi sia estrema e che nessuno, 
Mario Draghi in primis, voglia chiedere qualcosa di simile. La Borsa ha 
comunque anticipato lo scenario estremo, ipotizzando nuove 
ricapitalizzazioni e bail-in a raffica, come dimostra il calo di tutte 
le banche italiane – ma anche europee – arretrate del 30% da fine 
novembre.
Lo “stress test” estremo
Prometeia ha dunque voluto mettere alla prova questa tesi con uno 
“stress test”. Difficile dire se il mercato oggi stia incorporando nei 
prezzi qualcosa che va oltre anche l’ipotesi più drammatica 
ipotizzabile. Ma guardiamo ai numeri degli esperti: qualora tutte le 
banche dovessero portare gli accantonamenti allo stesso livello 
applicato alle quattro banche “salvate”, queste dovrebbero svalutare in 
termini lordi per 35,4 miliardi, di cui 31,2 a carico delle prime 13 
banche, 1,5 per le prime 10 banche “less significant” e 2,7 miliardi per
 le 301 Bcc considerate da Prometeia. La perdita netta sul totale degli 
attivi si aggirerebbe tra l’1 e l’1,2%, «una perdita molto contenuta se 
confrontata con circa il 3%, che è il valore medio di perdita delle 
banche in Europa durante la crisi finanziaria - spiega Giuseppe 
Lusignani, vice presidente di Prometeia - senza contare che il comparto 
ha già subìto perdite per circa 55 miliardi nel corso degli ultimi 4 
anni, riuscendo tuttavia a sopportarne gli impatti negativi». 
La perdita, che andrebbe a erodere il capitale di vigilanza, 
brucerebbe il capitale degli azionisti per circa 26 miliardi, al netto 
degli effetti fiscali (pari a quasi 10 miliardi). A quel punto ci 
sarebbe da ricostituire il capitale di vigilanza per riportarlo alle 
soglie minime Srep per le prime 13 banche e all’8 per cento per tutte le
 altre. Prometeia calcola che il fabbisogno di capitale ammonterebbe a 
circa 14 miliardi di euro. 
Come ricostituire questo gap? In prima battuta, le banche potrebbero 
andare sul mercato, cercare capitali freschi e varare nuove 
ricapitalizzazioni. È un’ipotesi più che realistica, anche nel 
worst-case, perchè è difficile che la Vigilanza e gli istituti 
preferiscano creare scompiglio sul mercato scegliendo la strada della 
risoluzione. Se però così non fosse, e si optasse per il bail-in, con il
 conseguente coinvolgimento anche degli obbligazionisti, l’impatto 
sarebbe comunque gestibile: nessuna banca italiana, Bcc incluse, 
dovrebbe infatti prevedere un taglio di valore per gli obbligazionisti. I
 14 miliardi di euro mancanti verrebbero infatti recuperati in parte 
(circa 4,3 miliardi) attraverso una conversione in azioni del 72% circa 
degli strumenti ibridi (Additional Tier 1) presenti sul mercato; la 
parte restante – altri 9,6 miliardi di euro - arriverebbero invece dalla
 conversione in azioni di parte (circa il 17%) dei subordinati in 
circolazione. Praticamente nessuna conseguenza ci sarebbe invece sulle 
obbligazioni senior (solo lo 0,02% dei bond in circolazione e dei 
depositi maggiori di 100mila euro delle large corporate). A maggior 
ragione, nessun impatto ci sarebbe per gli altri depositi superiori a 
100mila euro, che sono ancor più tutelati (mentre per legge fuori da 
ogni ipotesi di bail-in rimangono i depositi sotto i 100mila euro).
L’ipotesi “Armageddon”
Ma non basta. Prometeia è andata anche oltre, ipotizzando un secondo
 scenario, da vero Armageddon finanziario. E ha ipotizzato una perdita 
degli attivi al 3%, in contemporanea, per tutte le 324 banche 
analizzate. La perdita netta in questo caso  sarebbe di 77,3 miliardi, 
mentre il fabbisogno sarebbe di circa 45. Anche in questo scenario non 
ci sarebbe alcuna svalutazione, con il buco che sarebbe colmabile con la
 conversione di tutti gli At1 (6 miliardi) e del 67% dei subordinati 
(38,4 miliardi). Analogamente, anche in questa ipotesi conti correnti e 
bond senior sarebbero di fatto al sicuro. 
 
L’altro scenario
Questo, come detto, negli scenari estremi. E che sono persino 
costruiti all’insegna dell’eccesso di cautela: le simulazioni precedenti
 prevedono infatti che le banche italiane riportino i ratio patrimoniali
 ai livelli attuali imposti dalla Bce, i cosiddetti indici definiti 
nell’ambito dello Srep, che sono in media - secondo  stime - di 100-200 
punti base più alti in Italia rispetto a Francia o Germania. Tuttavia, 
qualora «le sofferenze venissero svalutate, le asticelle Srep dovrebbero
 scendere di conseguenza, perchè minore sarebbe la rischiosità implicita
 nei bilanci», aggiunge Lusignani. E con criteri meno stringenti di 
capitale, minore sarebbe il fabbisogno. Prometeia stessa calcola quindi 
che, per i primi 13 gruppi, con 100 punti base di Cet1 ratio richiesto 
in meno, il deficit di si ridurrebbe da 13,5 a 7 miliardi; con un taglio
 di 200 punti base, il gap si assottiglierebbe a 3,5 miliardi. Numeri 
ben lontani dalle decine di miliardi ipotizzati oggi dai mercati.
@lucaaldodavi
luca.davi@ilsole24ore.com