IL DISCORSO DI MENENIO AGRIPPA
« Olim  humani artus, cum ventrem otiosum  cernerent, ab eo discordarunt,  conspiraruntque ne manus ad os cibum  ferrent, nec os acciperet datum,  nec dentes conficerent. At dum ventrem  domare volunt, ipsi quoque  defecerunt, totumque corpus ad extremam  tabem venit: inde apparuit  ventris haud segne ministerium esse, eumque  acceptos cibos per omnia  membra disserere, et cum eo in gratiam  redierunt. Sic senatus et populus  quasi unum corpus discordia pereunt  concordia valent. »
« Una  volta, le membra dell’uomo, constatando  che lo stomaco se ne stava  ozioso [ad attendere cibo], ruppero con lui  gli accordi e cospirarono  tra loro, decidendo che le mani non  portassero cibo alla bocca, né che,  portatolo, la bocca lo accettasse,  né che i denti lo confezionassero a  dovere. Ma mentre intendevano  domare lo stomaco, a indebolirsi furono  anche loro stesse, e il corpo  intero giunse a deperimento estremo. Di  qui apparve che l’ufficio dello  stomaco non è quello di un pigro, ma  che, una volta accolti,  distribuisce i cibi per tutte le membra. E  quindi tornarono in amicizia  con lui. Così senato e popolo, come fossero  un unico corpo, con la  discordia periscono, con la concordia rimangono  in salute. »
(Liv. II, 32)
Nell’antica Roma i cittadini erano divisi in due classi: i nobili, chiamati patrizi, e il popolo lavoratore, chiamato plebe.
I patrizi dopo avere cacciato i Tarquini da Roma, concentrarono tutto  il potere nelle loro mani; si spartirono la maggior parte della terra e  del bestiame a danno dei plebei, come erano chiamati i componenti della  plebe, i quali finirono per indebitarsi e diventare spesso schiavi del  creditore.
I plebei si sentirono ingiustamente sfruttati e completamente esclusi  dalla partecipazione alla vita politica della città; poiché non  potevano più tollerare le loro precarie condizioni di vita, idearono una  forma di protesta tanto insolita quanto clamorosa.
Rifiutarono la  chiamata alle armi contro i bellicosi Equi che minacciavano i confini  del Lazio e lasciarono Roma, ritirandosi in massa sul monte Sacro, al di  là del fiume Aniene, a circa tre miglia fuori della cinta muraria: si  creò così una grave situazione dagli esiti imprevedibili.
I patrizi furono assaliti da molteplici timori: da un lato capirono  che senza l’importante contributo della plebe non erano in grado di  fronteggiare l’imminente guerra, dall’altro non sapevano come  comportarsi con i plebei, che – come diremmo oggi – avevano messo in  atto uno sciopero; temevano inoltre che gli elementi plebei rimasti in  città potessero insorgere, provocando gravi disordini.
Su un punto  tuttavia furono tutti d’accordo: bisognava trovare il modo di  riconciliare, con le buone o con le cattive, la plebe con lo Stato.
I patrizi decisero allora di inviare sul monte Sacro, dove nel  frattempo i plebei si erano fortificati con trincee e fossati, il  senatore Menenio Agrippa, che tutti conoscevano per le sue notevoli  capacità di abile oratore e che poteva essere ben accetto agli insorti  perché di origini plebee.
La leggenda racconta che, accolto nelle postazioni dei plebei in  rivolta, riuscì a ricondurre tutti all’ordine raccontando, con garbo ed  intelligenza, questa semplice e toccante storia:
«C’era un tempo in cui nell’uomo tutte le parti non si accordavano  con le altre come se fossero una sola, ma ciascuna si regolava  autonomamente, con un suo particolare modo di comportarsi.
Accadde che  le altre parti si indignarono perché ogni loro faticosa attività andava a  vantaggio dello stomaco, mentre questo se ne stava inoperoso nel mezzo  del corpo, a godersi tutti i piaceri che le altre parti gli procuravano:  così organizzarono un complotto contro di lui per punirlo. Fu deciso  che le mani non portassero più il cibo alla bocca, che la bocca  respingesse quello che le veniva offerto, che i denti non triturassero  ciò che ricevevano.
Dopo poco tempo lo stomaco, per la fame, cominciò a  star male, come era stato previsto nei piani delle altre parti, ma  anch’esse cominciarono ad indebolirsi gravemente e, con esse, tutto il  corpo giunse ad un gravissimo stato di sfinimento generale.
Risultò  allora chiaro a tutte le parti che lo stomaco non se ne stava in realtà  in ozio a godersi come un parassita il lavoro altrui, ma svolgeva un suo  specifico ruolo, e che non era alimentato più di quanto non nutrisse,  restituendo a tutte le membra del corpo, opportunamente distribuito  attraverso le vene, il sangue necessario per la vita, proveniente dalla digestione del cibo».
La morale del racconto tenuto da Menenio Agrippa risultò subito chiara per tutti:
plebei e patrizi dovevano restare strettamente uniti perché reciprocamente legati da comuni interessi; svolgevano infatti ruoli differenti ma entrambi indispensabili e vitali per la sopravvivenza dello Stato.
La situazione fu velocemente ricomposta;
furono avviate delle trattative che portarono all’istituzione di una nuova importante carica politica, quella dei tribuni della plebe, che poteva essere esercitata soltanto da esponenti della plebe e che conferiva grande potere di controllo e di opposizione contro i consoli.
I plebei, appagati dall’importante riconoscimento, lasciarono l’accampamento sul monte Sacro e tornarono a Roma, riprendendo le loro usuali occupazioni.
Era il 494 a.C.