Credo, come Federico Hebbel, che "vivere vuol dire essere partigiani" (1). 
Chi vive veramente non può non essere cittadino, e parteggiare.
Indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
Perciò odio gli indifferenti.   
L'indifferenza   è il peso morto della storia. E' la palla di piombo per il novatore, è   la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più  splendenti, è  la palude che recinge la vecchia città e la difende  meglio delle mura  più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri,  perché inghiottisce nei  suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e  li scora e qualche  volta li fa desistere dall'impresa eroica.   
L'indifferenza   opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. E' la   fatalità; e ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i   programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che   si ribella all'intelligenza e la strozza.
Ciò  che succede, il  male che si abbatte su tutti, il possibile bene che un  atto eroico (di  valore universale) può generare, non è tanto dovuto  all'iniziativa dei  pochi che operano, quanto all'indifferenza,  all'assenteismo dei molti.